“Italia garante per l’Ucraina”. Il (preoccupante) mistero del tweet di Zelensky

Il premier ucraino chiede a Roma di far parte del “sistema di garanzia” su Kiev. Ma cosa rischiamo?

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L’Italia garante della sicurezza dell’Ucraina. È l’ultima novità, di cui si era discusso nel fine settimana e che è stata ufficialmente lanciata ieri dal presidente Volodymyr Zelensky, dopo un colloquio con Mario Draghi. “Apprezziamo la volontà dell’Italia di unirsi alla creazione di un sistema di garanzie di sicurezza per l’Ucraina”, ha twittato, per la verità in modo un po’ sibillino, il leader asserragliato a Kiev, dove potrebbe essere bersaglio di tentativi di assassinio da parte del Gruppo Wagner, o di veri e propri raid con i missili ipersonici. Ma cosa significa, allora, quello che ha detto Zelensky?

Italia garante per l’Ucraina?

Da Roma non sono arrivati chiarimenti in proposito. Anzi, nel comunicato ufficiale di Palazzo Chigi non si è fatto minimamente cenno alla questione. Il messaggio della presidenza del Consiglio riguardava, semmai, “la piena disponibilità dell’Italia a contribuire all’azione internazionale per porre fine alla guerra e promuovere una soluzione durevole della crisi in Ucraina”. Sono due cose molto diverse. Dunque, bisogna seguire l’intuito; e la traccia che viene fuori andando dietro al cinguettio di Zelensky non è rassicurante.

Il rischio di inimicarsi la Russia

Già, perché se il nostro Paese dovesse occuparsi di garantire la sicurezza dell’Ucraina e se la sicurezza dell’Ucraina significasse la sua integrità territoriale, non oseremmo immaginare le conseguenze di un simile accordo, qualora il conflitto con i russi, come non è possibile escludere, si dovesse protrarre. Il negoziato potrebbe anche portare a una cessazione delle ostilità; ma può anche darsi che, tra il desiderio del Cremlino di non mollare l’osso per non disperdere un enorme ed esiziale capitale politico, e la capacità di resistenza degli invasi, grazie anche alle forniture di armi dall’Occidente, la guerra vada avanti a lungo. A quel punto, se l’Italia fosse, appunto, garante della sicurezza ucraina, cosa dovrebbe fare in caso di nuove ondate di bombardamenti o tentativi di sfondamento con le truppe da parte di Mosca? Entrare direttamente in guerra con la Russia? In fondo, il senso delle parole di Zelensky pare andare in quella direzione. Chi garantisce per la sicurezza di un altro, a rigor di logica, è tenuto a difenderlo; sarebbe, in fondo, un altro modo di dire che l’Ucraina è entrata a far parte della Nato, visto che esiste un vincolo di reciproca assistenza in caso di attacco tra gli Stati membri dell’Alleanza atlantica.

Siamo sicuri che non ci stiamo posizionando su una china molto scivolosa? Forse, ha ragione Toni Capuozzo: piuttosto che disegnare complesse geometrie militari e securitarie, noi italiani avremmo dovuto fare quello che sappiamo fare meglio: accogliere i profughi e mediare. Con gli insulti di Luigi Di Maio e Draghi a Vladimir Putin e con l’invio di armi a Kiev, ci siamo sicuramente giocati questa possibilità. Il testimone della diplomazia, infatti, è passato in mano ad altri, a cominciare dalla Turchia, o, per restare in Europa, Francia e Germania. Ma con un impegno ancora più diretto sul terreno in Ucraina, rischieremmo davvero di impantanarci in un pericolosissimo Vietnam europeo, mettendoci letteralmente sul vivo di volata dei fucili russi. E in cambio di cosa rischieremmo di entrare in guerra aperta con Mosca? Del grano ucraino? Di una stella al merito? Dell’onore?

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