Iva e Irpef: il governo punta alla complicazione fiscale

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Nei giorni scorsi, cogliendo al balzo l’occasione delle grandi polemiche per la mancata proroga dei versamenti dei saldi e primi acconti delle imposte sul reddito delle piccole imprese e delle partite Iva, il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, ha reso pubblica l’idea varare una riforma che consenta, a una parte di quei contribuenti, di determinare il reddito di impresa sulla base di un principio di cassa “puro”, tale per cui il reddito venga ad essere nella sostanza il cash flow del periodo, senza ammortamenti e altre poste rettificative dell’imponibilità e della deducibilità di entrate e uscite finanziarie. Una semplificazione oggettiva ed evidente, rispetto alle attuali modalità di calcolo della base imponibile, specie sul lato delle uscite, oggi caratterizzate da una estrema fantasia del legislatore nel prevedere ogni sorta possibile di limiti di deducibilità.

A fronte di questa innovazione, la proposta prevede anche uno sviluppo che interessa più all’Erario che non ai contribuenti, ossia l’abbandono del meccanismo dei due acconti di giugno e novembre (ricordiamo che l’acconto di giugno può essere già oggi rateizzato su base mensile fino a ottobre), a favore di un versamento delle imposte sul reddito su base mensile o trimestrale, come avviene già oggi per l’Iva. Esponenti del Governo e della maggioranza hanno subito rilanciato con irrefrenabile entusiasmo la “bilanciata” proposta del direttore Ruffini, ma, ironia della sorte, hanno focalizzato la loro attenzione esclusivamente sulla parte che interessa all’Erario, cioè la parte che impone di fare il conteggio degli acconti dovuti 12 volte su base mensile o 4 volte su base trimestrale, invece che 1 volta su base annuale, non quella che interessa i contribuenti, cioè l’estrema semplificazione del calcolo del reddito. Resta da capire se ciò sia dovuto a estrema malizia o estrema imperizia.

In entrambi i casi, la preoccupazione per quello che può accadere è legittima. E, d’altro canto, se calcolare l’Iva dovuta (= Iva vendite – Iva acquisti detraibile) e versarla una volta l’anno è oggettivamente considerata una semplificazione rispetto a calcolarla e versarla ogni trimestre, la quale è a sua volta oggettivamente considerata una semplificazione rispetto a calcolarla e versarla ogni mese, non si riesce davvero a capire perché calcolare l’Irpef dovuta (= Ricavi – costi deducibili) e versarla ogni trimestre o addirittura ogni mese dovrebbe essere considerata una semplificazione rispetto a poterla continuare a calcolare una volta sola all’anno.

Anche dal punto di vista finanziario, è davvero arduo sostenere che è un vantaggio per il contribuente (mica per l’Erario) cominciare a pagare acconti a partire da gennaio, laddove il sistema attuale gli consente di cominciare a versarli a partire da giugno. Da questo punto di vista, sembra quasi di rivedere la famosa scena del fortunato film di Leonardo Pieraccioni, Il ciclone, in cui una simpatica farmacista si lamenta con il suo commercialista perché lo Stato le fa incassare l’Iva e poi gliela chiede, ma lei nel frattempo non resiste e la spende: se cominciare a pagare gli acconti da gennaio invece che da giugno è un vantaggio per il contribuente (mica per l’Erario), vuol dire che chi sta oggi al governo o in maggioranza ha visto quel bellissimo film una volta di troppo e ha finito per confondere una riuscitissima maschera comica con la realtà.

In definitiva, ciò che sarebbe auspicabile che venisse dibattuto della “proposta Ruffini” è anzitutto il tema della semplificazione delle regole di determinazione delle base imponibili, non quello della mensilizzazione dei versamenti, di cui ai contribuenti non frega veramente nulla e da cui può anzi derivargliene un danno, ove non sia il corollario del vero lavoro di semplificazione che deve essere fatto a monte.

Enrico Zanetti, 25 luglio 2020

Eutekne

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