Iva, la vera storia delle clausole di salvaguardia

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La sterilizzazione degli aumenti delle aliquote IVA destinati a scattare nel 2020 richiede coperture finanziarie (e/o maggiore deficit) per 23,2 miliardi di euro che saliranno a circa 29 miliardi nel 2021. Il doppio, dunque, dei 12,5 miliardi di euro che fu necessario “disinnescare” nella legge di bilancio per i12019 e circa una volta e mezzo i 15,7, 15,4 e 16,8 miliardi che, rispettivamente, fu necessario “disinnescare” in occasione delle precedenti leggi di bilancio per i12018, per i12017 e per i12016.

Già questi dati consentono di evidenziare come quest’anno il grado di difficolta dell’operazione vada dal 150% al 200% di quello delle volte precedenti.

Il rimpallo delle responsabilità politiche è abbastanza sterile, perché la tecnica della quadratura dei conti nel medio periodo, mediante l’approvazione di aumenti di imposte o tagli di spesa “differiti”, che devono poi essere attuati o disinnescati da chi fa la manovra dell’anno successivo, e stata ormai utilizzata da Governi sostenuti da maggioranze che, nel loro insieme, coprono ormai l’intero arco parlamentare delle forze politiche che hanno avuto responsabilità di governo.

I primi ad avvalersene, quando ancora era possibile prevedere “clausole generiche’ di tagli lineari di detrazioni, deduzioni e regimi fiscali agevolati o di capitoli di spesa corrente, sono stati nel 2011 il Governo Berlusconi (sostenuto da Pdl e Lega) e nel 2013 il Governo Letta (sostenuto da Pd, Ncd e Sc).

In particolare, nella drammatica estate del 2011 il Governo Berlusconi stabilì che si sarebbe dovuto procedere a tagli dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale nella misura di 4 miliardi nel 2012, ulteriori 12 nel 2013 e ulteriori 4 nel 2014 (per un totale a regime di 20 miliardi di “stretta fiscale”), da attuare attraverso una riforma complessiva o, in mancanza, attraverso tagli lineari del 5% nel 2012 e 20% dal 2013 (art. 40 comma 1-ter del DL 98/2011).

Quella “clausola di salvaguardia” è stata poi attuata dal Governo Monti con politiche di bilancio restrittive su specifici capitoli di entrata e di uscita (dall’introduzione dell’IMU al contenimento della spesa pensionistica, fino all’aumento dell’IVA dal 21% al 22% rinviato fino a r ottobre 2013), scelte in alternativa al taglio lineare dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale.

È quindi toccato al Governo Letta, nel dicembre 2013, riaprire la pratica delle “clausole generiche” (evidentemente incoraggiato dal fatto che, sul piano politico, l’elettorato pare più incline a punire chi paga le cambiali in bianco lasciate da altri, piuttosto che chi le firma), stabilendo che sarebbero state disposte ‘variazioni delle aliquote di imposta e riduzioni della misura delle agevolazioni e delle detrazioni vigenti tali da assicurare maggiori entrate’ pari a 3 miliardi per il 2015, 7 miliardi per il 2016 e 10 miliardi a decorrere dal 2017 (art. 1 comma 430 della L. 147/2013).

L’anno successivo, il Governo Renzi (sostenuto da Pd, Ncd e Sc) disinnesca i 3 miliardi di aumenti sul 2015 e fa nella sostanza confluire i 10 miliardi a regime di “clausola generica” del Governo Letta nella “clausola specifica” di aumento differito delle aliquote IVA (perché nel frattempo viene finalmente previsto it divieto di “clausole generiche’) cui aggiunge di suo a regime ulteriori 20 miliardi che, nelle due leggi di bilancio successive, ripiana a regime per circa la metà.

Dopo la parentesi del Governo Gentiloni (che nella sua unica legge di bilancio non aumenta il lascito di “clausole specifiche’ differite e si limita a disinnescare quelle in ‘scadenza immediata’ sul 2018 e a ridurre parte di quelle per il 2019), tocca al Governo Conte I ampliare ulteriormente rendita degli aumenti di IVA differiti per circa 4 miliardi sul 2020 e quasi 10 miliardi a regime dal 2021.

In definitiva, dei circa 30 miliardi a regime di aumenti IVA differiti (di cui, per il 2020, ‘solo’ 23,2 miliardi), un terzo è riconducibile al lascito del Governo Letta, un terzo a quello del Governo Renzi e un terzo a quello del Governo Conte I.

I 20 miliardi di lascito di stretta fiscale del Governo Berlusconi invece non ci sono, ma soltanto perché sono stati trasformati, da chi se li è ritrovati tra capo e collo, nella stretta fiscale che il Paese ha conosciuto tra il 2012 e il 2013 e che è stata riassorbita negli anni successivi, con la scure però di nuove, seppur diverse clausole da parte dei Governi successivi.

Enrico Zanetti, 30 settembre 2019

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