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La Boldrini vuole più tasse sulla casa

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L’onorevole Laura Boldrini, già Presidente della Camera dei deputati e attualmente parlamentare del Partito democratico, ha a cuore – condivisibilmente – le sorti dei giovani. Recentemente, in occasione di un incontro pubblico ha esposto la sua ricetta per migliorare le condizioni dei nostri ragazzi: “Si dice che sono bamboccioni e non se ne vanno di casa. Perché non se ne vanno di casa? Spesso perché gli affitti sono insormontabili! (sic). Allora, vogliamo dare un contributo all’affitto ai nostri ragazzi? Un affitto per chi vuole farsi una strada autonoma, per i giovani studenti. E dove li prendiamo i soldi? I soldi a mio avviso li dobbiamo prendere introducendo l’Imu sulla prima casa per chi di case ne ha tantissime! Perché nel nostro Paese c’è chi di case ne ha 3, 4, 5, 10! Allora, non sarebbe un segnale comprensibile a tutti? Questi ragazzi possono avere un aiuto all’affitto con i soldi di chi paga la tassa sulla prima casa perché di case ne ha tante. È semplice e lo capiscono tutti”.

Eh sì, in effetti la proposta è semplice e la possono capire tutti. Condividerla, però, è un’altra cosa. Tralasciamo l’obiettivo – dare un contributo per l’affitto ai giovani – e concentriamoci sulla modalità di reperimento delle risorse per conseguirlo. Per l’onorevole Boldrini, a sostenere questa misura dovrebbero essere coloro che hanno “tantissime case”, che nel suo progetto sarebbero chiamati a versare l’Imu sulla loro “prima casa”.

Innanzitutto diamo un’informazione, utile forse anche all’onorevole Boldrini: in Italia ci sono molte “prime case” per le quali l’Imu è dovuta, da molti anni. Sono quelle che vengono impropriamente definite “di lusso”, ma che in realtà di lusso quasi sempre non sono, posto che il criterio per identificarle non ha nulla a che fare con lo sfarzo. Si tratta, infatti, delle abitazioni inquadrate catastalmente nelle categorie A/1 (“Abitazioni signorili”), A/8 (“abitazioni in ville”) e A/9 (“Castelli, palazzi di eminenti pregi artistici o storici”). Immobili – in particolare quelli più diffusi, gli A/1 – la cui disomogenea distribuzione sul territorio nazionale è essa stessa la prova dell’inattendibilità del criterio (chiedere, per credere, agli abitanti di Genova o di Firenze, da anni in rivolta per il fatto di avere nel loro territorio un numero di “abitazioni signorili” assolutamente sproporzionato rispetto a qualsiasi altra città).

Chiarito che – a differenza di quanto in molti (forse anche l’on. Boldrini) pensano – molte “prime case” già sono soggette all’Imu, facciamoci qualche domanda: qual è la logica di tassare la “prima casa di chi di case ne ha tantissime”? Qual è, se c’è, il ragionamento economico alla base di questa proposta? Lo sa, l’on. Boldrini che il proprietario di quelle “tantissime case”, su di esse paga tasse molto salate, sia che riesca a trarne un reddito (ipotesi sempre più rara), sia che non le riesca ad affittare (e neppure a vendere)? E allora, che logica ha – restando, senza naturalmente condividerla, all’impostazione della proposta – tassare la “prima casa” di chi ne ha – nell’esempio dell’on. Boldrini – da 3 in su, e non di chi ne ha 2? Non si comprende.

E poi, soprattutto, qual è il riflesso mentale che porta molti politici a considerare quale indice di benessere le case (neanche gli immobili in genere, che so, i locali commerciali: no, proprio le case) e non, poniamo, gli investimenti finanziari, i quadri d’autore o i lingotti d’oro? Mistero. Tra l’altro, se proposte come queste fossero il frutto di un ragionamento economico, e non – appunto – di riflessi mentali o ideologici, si comprenderebbe facilmente che sono proprio le case – fra le varie possibili – la forma di possesso meno qualificabile in via automatica come indice di benessere, falcidiate come sono da spese di manutenzione, tassazione patrimoniale, rischio di sfitto o morosità e, negli ultimi anni, anche erosione del valore. Se patrimoniale ha da essere, insomma, perché bisogna colpire sempre la casa?

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