Politica

Verso il premierato

La bufala di Repubblica su Mattarella e Meloni

repubblica mattarella

La guerra silenziosa, ma manco tanto, è già partita. Il testo della riforma Costituzionale è stato approvato solo cinque giorni fa, non è ancora arrivato neppure al Quirinale, dovrà passare le forche caudine di quattro letture in Parlamento eppure già si sprecano gli appelli alla dittatura, alla democratura, al rischio per la tenuta liberale del Paese. I costituzionalisti impegnati si sono già espressi, molti in maniera critica a priori altri suggerendo lodevoli aggiustamenti. Dunque ai giornali progressisti non resta che aggrapparsi a lui, Re Sergio Mattarella, il “custode della Carta” che sino ad ora non si è ancora espresso.

Repubblica col suo inviato segue il viaggio del Presidente a Seul e trasforma un volo programmatissimo, come non potrebbe essere altrimenti, in una “distanza (anche geografica) dalla riforma di Meloni”. “Sergio Mattarella – scrive Contetto Vecchio – si aggira per gli ampi saloni del Museo nazionale della Corea, tra vasi, collane e statuette di Buddha. Seul è sprofondata nel buio e viene da chiedersi, osservandolo, se c’è un nesso simbolico con quel che sta avvenendo in Italia, dove la destra pensa di trasformare la presidenza della Repubblica in una figura museale“. Ottimo incipit, no c’è che dire. Ma per un romanzo di fantascienza. Il premierato infatti non lede alcuna prerogativa del Quirinale se non il potere di costruire governi tecnici, conferire il mandato di premier a chi non ha vinto le elezioni e nominare (inutili) senatori a vita. Diciamo, piuttosto, che negli ultimi anni gli inquilini del Colle si sono “allargati” e non poco nell’esercizio dei loro poteri, arrivando a fare e disfare esecutivi a loro piacimento (e in barba al voto degli elettori).

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Ma il meglio arriva dopo. Mattarella, vaneggia il cronista di Rep, “è come se avesse voluto mettere una distanza con Roma. Una lontananza geografica (undici ore di volo dividono le due capitali), ma anche morale”. Tradotto: pur di non commentare o avallare la riforma meloniana, Re Sergio ha fatto le valigie in fretta e furia e se n’è andato dall’altra parte del globo terracqueo. Balle. Intanto perché, come ammette lo stesso Vecchio, “questo viaggio in Asia era stato programmato da tempo”. E non c’è nessuna “suggestione”: non c’era motivo, per il Presidente, di rinviare il volo per Seul visto che l’approvazione in Cdm dello scorso 3 novembre è solo il primo passaggio di un lunghissimo processo di riforma della Carta che potrebbe durare anche due anni. Senza considerare che – ufficialmente – il Quirinale non ha neppure ricevuto il testo definitivo del ddl Casellati.

Vero è che molto si discute sui giornali sulle possibili dimissioni di Matterella qualora venisse approvata la riforma. Il diretto interessato non ha né confermato né smentito, il che può far intendere che non apprezzi fino in fondo il nuovo impianto istituzionale. Ma anche qualora non piacesse al Colle, non v’è alcun motivo per modificare il testo. Re Sergio può godere di tutta la “popolarità” del mondo, ma resta “solo” il garante della Carta non un sovrano costituzionale. La Costituzione stessa prevede che possa essere emendata per mezzo di un lungo processo molto complicato che, se non otterrà i voti dei 2/3 delle Camere, porterà fino al referendum costituzionale. Tradotto: decidono il Parlamento e il popolo. Poco importa, dunque, se “la firma del Capo dello Stato sarà un puro atto formale” e “non un avvallo”, come si affanna a ricordare Repubblica. Non spetta al Colle decidere.

Giuseppe De Lorenzo, 8 novembre 2023

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