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La Cirinnà e il nichilismo light che distrugge la nostra società

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A sinistra è piaciuto il cartello in mano alla senatrice del Partito democratico Monica Cirinnà durante la manifestazione dell’otto marzo in lode della donna e soprattutto del femminismo. Cosa c’era scritto di così interessante? «Dio, patria, famiglia che vita de merda». Un programma politico, si fa per dire, subito adottato dalle masse dell’internet, in particolare dagli utenti di Twitter, che hanno spinto «Dio, patria e famiglia» tra gli oggetti più popolari di conversazione.

È scattata la gara all’oltraggio in nome della più stupida idea di progresso, quella che sputa sui valori del passato perché appartengono al passato senza interrogarsi se siano anche sbagliati. Interroghiamoci noi, allora. Se un uomo rinuncia a Dio, patria e famiglia rinuncia alla speranza (Dio), alla storia (patria) e all’amore (famiglia). Cosa resta a un uomo così? La solitudine, nella maggior parte dei casi, da lenirsi con i piaceri effimeri del consumismo. Pochi italiani sono disposti a riconoscere che «Dio, patria e famiglia» sono i valori più importanti. Per asserire la necessità della religione non è indispensabile essere credenti. È sufficiente constatare che nessuna civiltà è sopravvissuta al crollo della propria fede.

La storia è la nostra carta d’identità: il concetto di patria ci insegna chi siamo e cosa possiamo diventare in armonia con le nostre origini. La famiglia è il centro delle società occidentali (e non solo) dalla notte dei tempi. Chi rivendica con orgoglio di credere in «Dio, patria e famiglia» è additato come «reazionario». In Italia questa parola è un insulto. Gli intellettuali, che pure dovrebbero aver studiato, ignorano quale sia la vera natura del reazionario e lo confondono col bigotto, col conservatore, col fascista, col nostalgico, con la destra più retrograda. Tutte sciocchezze.

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