La grande lezione liberale della pandemia

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Ormai lo sappiamo con certezza: se avessimo avuto un governo liberale ad amministrare la pandemia non avremmo avuto il pandemonio da cui stiamo lentamente uscendo. Per tre motivi: 1. perché sarebbe stato davvero molto ma molto difficile fare peggio dei Magnifici 4: Conte – Speranza – Arcuri – Borrelli; 2. perché la strategia della tensione e del terrore di Stato predicata e praticata dal governo del professor Giuseppe Conte ha inevitabilmente ottenuto insicurezza invece che sicurezza perché ha colpevolizzato la libertà; 3. perché per uscire dal disastro del governo della pandemia si è dovuto prendere atto – a fatica – del fallimento del governo Conte 2 e sostituirlo con il governo Draghi che nei limiti del possibile ha salutato tre su quattro dei Magnifici 4 e ha ridimensionato la stessa politica disperata di Speranza.

In sintesi, e stando ai fatti, si può dire che come il governo Conte 2 sta alla pandemia così il governo Draghi sta all’uscita dall’epidemia e – corollario importante – come il Conte 2 è stato il governo delle sinistre così con Mario Draghi a Palazzo Chigi, pur nella difficoltà della situazione data, c’è stato un evidente ritorno alla ragionevolezza che è il contrario del sinistrato governo sinistro delle sinistre che – in omaggio all’anniversario dell’Alighieri – “nel pensier rinnova la paura”. La cronaca è questa, il resto è confusione interessata.

Dunque, la lezione principale che dobbiamo trarre dal micidiale Annus horribilis 2020 – come disse Conte nel pieno della vanagloria: “Sarà un anno bellissimo” – è che un’epidemia non si affronta rinunciando agli strumenti e alle garanzie dello Stato costituzionale ma, al contrario, si lavora con tutte le forze necessarie proprio sulla base delle garanzie costituzionali di una politica liberale dal momento che se si va oltre quei limiti garantiti si aggiunge soltanto danno al danno. L’idea – che il ministro Speranza ha perfino teorizzato nel suo libro poi ritirato dalle librerie – che lo Stato debba tutto avocare a sé perché i cittadini non sanno far nulla è illusoria ed è un chiaro rimedio peggiore del male che non si riduce ma aumenta.

Per le politiche stataliste si tratta di una doppia sconfitta: fattuale e culturale. La sinistra, che con l’unione con il M5s costituisce un vero e proprio fronte statalista, farebbe bene a prendere atto che la via statalista è la via della schiavitù. Come, del resto, è bene evidenziare che anche le politiche dei diritti civili, sulle quali a sinistra si punta molto, quando sono coniugate non con cultura ed educazione ma con statalismo e legislazione si trasformano rapidamente in conformismo e non tardano a generare effetti contrari a quelli desiderati.

Le politiche stataliste, dunque, che a breve sembrano essere persuasive e vincenti, sono proprio l’enorme problema pratico e culturale che l’Italia ha davanti a sé, intorno a sé, dentro di sé. La stessa destra o il centrodestra, o come diavolo si voglia chiamare l’altra area politica, farebbe bene a considerare questo aspetto: al fronte statalista va contrapposto con consapevolezza una forza liberale in cui i diritti/doveri dei cittadini – dalla sanità alla giustizia alla scuola al lavoro – siano salvaguardati sia nell’interesse dei singoli sia nell’interesse della vita nazionale e statale che altrimenti, senza libertà e lavoro, è destinata al deperimento.

Chissà se qualcuno sarà in grado di ricavare dal fallimento della mente statalista la grande lezione della cultura liberale che è nei fatti, nelle cose, nelle cronache. Per non vederla bisognerebbe essere o ciechi o pavidi o stupidi.

Giancristiano Desiderio, 22 maggio 2021

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