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La persecuzione Usa su Assange

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Che Julian Assange avesse ragione è dimostrato dal silenzio stampa totale sul suo processo e la sua detenzione. Davide batte Golia solo nella Bibbia, la realtà è diversa: Davide soccombe sempre. Vince solo al cinema e quando e se fa comodo a Golia far sapere che esso in fondo è vulnerabile, che il sistema ha i suoi anticorpi, che qualche fetente al vertice talvolta c’è ma un giudice onesto, un giustiziere, un avvocato eroico e via sbrodolando possono far trionfare la giustizia. Avete presente il film di Clint Eastwood, Potere assoluto? Un ladro coscienzioso e un poliziotto integerrimo possono far condannare perfino il presidente degli Stati Uniti. Seh, a Hollywood, appunto, che fa l’antagonista solo fino a quando l’Fbi non dice basta. Voi direte: ma come, con tutti i film su agenti Cia deviati, corrotti, infedeli eccetera eccetera? Serve solo a dare un’immagine di onnipotenza e, in ogni caso, l’happy end è assicurato, il poliziotto mondiale è in grado di correggere se stesso.

«Chi dorme in una democrazia si sveglierà in una dittatura», recita l’esergo del libro che vado a segnalare: Nils Melzer con Oliver Kobold, Il processo a Julian Assange, storia di una persecuzione (Fazi Editore, pp. 495, euro 20). Sapete com’è il 41bis negli Usa? Quattro pareti di cemento, niente finestre, tavolo, cesso e lavandino in acciaio fissati al pavimento, luce accesa giorno e notte. Si esce da lì solo con le catene a mani e piedi. Dice Stefania Maurizi (giornalista d’inchiesta anche lei) nella prefazione: «Assange e i giornalisti di WikiLeaks hanno rivelato cen­tinaia di migliaia di file segreti del Pentagono, della Cia e della National Security Agency (Nsa), le agenzie al cuore del complesso militare-industriale degli Stati Uniti, un le­viatano che non risponde a nessuno e la cui potenza si fa sentire in ogni angolo del pianeta: decide guerre, colpi di Stato, spia intere nazioni, influenza elezioni e governi». Nel 2010. E da allora è cominciato il calvario internazionale di Assange. Maurizi, che lo incontrò in Germania: «Le sue valigie, che contenevano alcuni computer criptati, erano misteriosamente scomparse in quel volo di­retto Stoccolma-Berlino. Sparite per sempre».

Nils Melzer è stato relatore speciale dell’Onu contro la tortura dal 2016 al 2022 ed è uno dei pochi(ssimi) che hanno preso a cuore la storia di Assange, finito nella peggior prigione del Regno Unito (da sempre alleato di ferro degli Usa). Come si ricorderà (quelli che hanno memoria, intendo) il primo incastro fu un classico: accusa di molestie sessuali. In Svezia, che è tutto dire. In un popolo per metà bacchettone e per metà debosciato ciò può bastare a screditare l’incauto. Ma significa anche che i tanto decantati profiler e analisti (ma nelle serie tv) scambiano la Scandinavia, dove pure al Premio Nobel allungano le mani, per la contea degli hamish. Come si ricorderà (quelli che hanno memoria, intendo), l’Assange trovò asilo all’ambasciata ecuadoregna. Non c’era altro, ma era come dire: non avendo ombrelli mi riparo dalla grandine con la mano. Infatti. Dall’Ecuador al 41bis britannico il passo fu breve, in attesa che Washington decida i tempi e il contraccambio per la consegna.

Insomma, un libro che è anche un’ottima occasione per apprendere –per chi non lo sa- che cosa ha scoperchiato Assange. In fondo, dal loro punto di vista, gli americani hanno le loro ragioni: tu vuo’ fa ‘a superpotenza? E allora non puoi permettere che pincopallino ti metta una telecamera in bagno.

Rino Cammilleri, 29 aprile 2023

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