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La vera America si ribella ai fanatici di Black lives matter

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Abbiamo eletto due nuovi eroi americani. Sono i coniugi McCloskeys, immortalati mentre, fucile in mano all’uomo e pistola in quella della donna, tengono lontano la torma di primati che, a Saint-Louis, aveva appena finito di minacciare la casa del sindaco e stava avvicinandosi alla loro.

Ancor più della splendida Sam Leshnak, la calciatrice ribelle all’inginocchiamento conformista, che pur indossando la maglia del movimento antirazzista, ha scelto di restare in piedi con la mano sul cuore durante l’inno, rappresentano la vera America, quella della libertà, quella di John Wayne, appena entrato nelle mira dei neo cavernicoli, quella di Clint Eastwood. È l’America che può condannare il razzismo senza voler per questo distruggere la nazione e la civiltà su cui essa si fonda.

Tra l’altro, i due McCloskeys sono un pugno nell’occhio per gli stereotipi dei liberal e dei socialisti o comunque degli anti trumpiani: non sono campagnoli burini ma avvocati di successo, vivono in una casa elegante, e hanno fatto sapere di non essere ostili a Black Lives Matter: solo non sopportano che cani rabbiosi devastino la loro casa. Non sappiamo neppure se in passato siano stati elettori trumpiani: in caso contrario, è probabile lo diventino.

L’altra America, la vera America. Nonostante molti pensino il contrario, gli Stari Uniti sono sempre stati divisi al loro interno in due e forse anche più «nazioni» in lotta tra loro. Dopo la Francia e la Spagna, è il paese occidentale con la maggior vocazione alla guerra civile. La guerra di indipendenza fu anche, come hanno mostrato gli studi più recenti, uno scontro feroce tra coloni pro indipendenza e quelli pro inglesi. La guerra civile americana, meno di un secolo dopo, chiamata asetticamente di secessione, fu talmente cruenta che provocò la morte dell’8% di tutti i maschi bianchi di età tra i 14 e il 43 anni. E per certi aspetti non è finita neppure ora, con la distruzione delle statue. Anche durante l’epoca della minaccia sovietica gli americani si divisero in due, sul Vietnam e sul Watergate. E le truppe americane erano ancora a Baghdad che Georges W. Bush, osannato oggi quasi come un liberal ma additato allora come il peggiore dei fascisti, fu oggetto di manifestazioni oceaniche per il ritiro delle truppe. E poi, negli anni di Obama, il Tea party e cosi via.

Insomma le piazze di queste settimane sono solo l‘ennesimo episodio della lunga guerra civile americana. Una storia ciclica che, quando finisce l’onda, porta quasi sempre a un risultato: la maggioranza degli americani vuole  legge e ordine, perché essi significano libertà. E se la forza pubblica non è in grado di assicurarlo, ecco i sacrosanti fucili dei coniugi McCloskeys.

Trump quindi è tutt’altro che spacciato. Per vincere deve proporre però al tempo stesso come il presidente della ripresa e come quello di legge ed ordine, un dossier su cui i dem hanno poco da vantare. Le città con il maggior numero di violenze, anche della polizia, sono gestite da loro. A questa tolleranza classica della sinistra si è aggiunta ora la follia anti cop che ha portato il Consiglio di Minneapolis, a maggioranza democratica, a «abolire» la polizia e il sindaco dem di Seattle a favorire una «zona autonoma», un quartiere totalmente in mano a manifestanti scatenati, ubriachi e drogati, che passano le loro giornate berciando contro la polizia e il capitalismo.

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