Economia

La vera storia del 2011: le manovre per far cadere Berlusconi

Dopo quasi 12 anni dalla caduta dell’ultimo governo del Cav, la storia di quei giorni merita di essere riletta sotto un’altra lente

Economia

Sono passati quasi dodici anni dalla caduta dell’ultimo Governo Berlusconi, il 12 novembre 2011. Due giorni prima, il 9 novembre, gli italiani impararono il termine spread. Quel giorno il differenziale tra i rendimenti di Btp e Bund, che negli anni precedenti non aveva mai oltrepassato i 170 punti base (neanche nel pieno della crisi Lehman Brothers), arrivò a toccare i 575 punti, con il rendimento del titolo italiano decennale che superò il 7%. Il giorno prima il governo Berlusconi non aveva raggiunto la maggioranza dei voti in Parlamento nella votazione sul rendiconto generale dello Stato. Tre giorni dopo le dimissioni e nelle succesive settimane, l’insediamento del governo tecnico di Mario Monti.

“A quiet coup d’Etat”, un silenzioso colpo di Stato del Consiglio europeo attraverso il linguaggio tecnocratico: così osò definirlo il filosofo tedesco Juergen Habermas in un intervista al Der Spiegel, il 25 novembre 2011. In due anni, tra il 2010 e il 2012, caddero assieme all’Italia, i governi di Irlanda, Spagna, Portogallo e Grecia. E lo stesso Mario Monti il 4 agosto 2021 in un editoriale sul Corriere della Sera, sembrò dare conferma a questa tesi, sostenendo che “se il governo e la maggioranza dell’epoca fossero stati in grado di realizzare una politica economica coerente e credibile, l’Italia non avrebbe perso la fiducia dei mercati e il governo non si sarebbe piegato, come fece, ad una precipitosa soluzione eterodiretta”.

Nel dicembre 2017 anche l’ex premier Romano Prodi ammise in un intervista al Sole 24 Ore, che contro il governo italiano si consumò un golpe finanziario. I mercati si allinearono alla volontà politica predominante, di far pagare al premier italiano, la posizione a favore di Gheddafi (l’Eni aveva ottenuto contratti miliardari con la Libia), e a favore di Putin. Secondo le parole di Prodi, pesarono sui mercati quindi non solo il contesto macroeconomico, ma anche gli interessi geopolitici franco-tedeschi.

Guardando al contesto, il 2011 fu un anno complicato dal punto di vista dell’economia. Nel 2010 la Grecia per evitare il default aveva ottenuto un prestito di 110 milardi di euro da Fmi, Bce e Commisione europea. L’anno successivo l’Autorità Bancaria Europea (Eba), temendo un effetto contagio sul settore bancario europeo, compreso quello in credito verso l’economia greca, chiese maggiori requisiti di solidità patrimoniali alle banche dell’Eurozona, il cui rating era stato già degradato per l’esposizione ai titoli pubblici dei Paesi in difficoltà.

Nello specifico, raccomandò di costituire una riserva di capitale di qualità più elevata. Di conseguenza per coprire i propri buchi di bilancio molti istituti di credito, tra cui BNP Paribas e Deutsche Bank, tra giugno e novembre ridussero la loro esposizione sul debito sovrano italiano.

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La Bce a guida Trichet inoltre, come ha poi ricordato nel 2015 Peter Praet (il capo economista della banca centrale), commmise in quello stesso anno l’errore di alzare per ben due volte i tassi d’interesse, per contrastare l’impatto dei rincari energetici sull’inflazione, che poi non arrivò, e questo non fece che destabilizzare ulteriormente la situazione.

Infine nel ottobre 2011 ci fu disaccordo tra i Paesi dell’Eurozona sull’ulteriore finanziamento del fondo europeo Salva-Stati (dal 2012 divenuto Mes), che era stato appena creato, per far fronte ai prestiti dei Paesi in default e per ricapitalizzare indirettamente le grandi banche europee in crisi, come avverrà per la Spagna e il Banco Santander. Il fondo sarebbe potuto servire da cuscinetto anche per l’Italia, ma nelle trattative di fine ottobre la dotazione complessiva non riuscì a superare i 440 miliardi di euro, di cui un terzo già impegnato per Grecia, Irlanda e Portogallo.

La situazione fu quindi lasciata precipitare e la crisi di fiducia internazionale sull’economia italiana, fu abbandonata alla propria sorte, senza che vi fossero atti e parole di conforto verso i mercati.

La risposta data il 24 ottobre 2011 dall’allora portavoce del governo tedesco, Steffen Seibert, alla domanda dei cronisti sul famoso incrocio ironico di sguardi Merkel-Sarkozy nella conferenza stampa conclusiva del Consiglio europeo di Bruxelles, esprime bene il clima che si respirava: “I due leader erano solo incerti su chi dovesse rispondere prima alla domanda (la fiducia nelle rassicurazioni del premier italiano). Francia e Germania considerano l’Italia un Paese economicamente molto forte, un importante membro UE e uno dei nostri partner più stretti. Un Paese dalle prestazioni economiche molto alte, ma che ha tuttavia, un alto debito”.

Un affermazione non corroborata dai dati. Se è vero che il debito pubblico era alto e pari al 120% del pil, (oggi è il 145%), è anche vero che il rapporto deficit-pil nel 2010 era calato rispetto al 2009, l’anno della crisi, e si attestava al 4,6%, contro il 4,3% della Germania, il 7,1% della Francia, e il 9,1% della Spagna.

Il 26 ottobre 2011 il governo italiano aveva inoltre inviato una lettera di rassicurazioni al vertice europeo, sulla manovra di bilancio restrittiva approvata durante l’estate, a seguito delle raccomandazioni della lettera Trichet-Draghi del 5 agosto. Una manovra che andava ben oltre lo spirito della lettera e che celava le ulteriori richieste non scritte dell’Europa: aumento dell’Iva, contributo di solidarietà del 3% per redditi sopra 300000 euro, tagli alla spesa pubblica, liberalizzazioni e pareggio di bilancio anticipato dal 2014 al 2013, come richiesto da Bruxelles. Tutte misure che non avrebbero avuto seguito, ma che alcuni mesi dopo sarebbero state riprese in altre forme dal governo Monti. Se l’obiettivo di queste misure fu di ridurre il debito, questo è proprio ciò che non avvenne. Nel 2012, con l’approvazione del decreto Salva Italia da parte del governo Monti, la pressione fiscale in Italia aumentò in un solo anno, secondo l’Istat, di quasi due punti percentuali, dal 42,6 al 44%, con un effetto a cascata sui consumi e sulla crescita del pil, che virò velocemente in negativo, al -2,4 % rispetto al +0,4% dell’anno prima in controtendenza agli altri Paesi europei, che non registrarono invece decrescite per il 2012. E il debito pubblico italiano passò in solo un anno, dal 120,8 % al 127% del pil e continuò a salire, avvitandosi alla decrescita, fino al 2014, quando si attestò al 135%.

La crisi speculativa del 2011-2012, prima dell’avvio del Quantitative Easing di Mario Draghi, secondo una nota dell’Ufficio Parlamentare di bilancio del 2017, in termini di maggiori interessi sul debito costò 31 miliardi di euro.

Friedrich Magnani, 22 giugno 2023