Le pericolose ovvietà di Landini

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Leggendo le intemerate agostane di Maurizio Landini, Giuliano Cazzola ha rimpianto la “sua” Cgil, il sindacato dei lavoratori nel quale ha militato per 28 anni, arrivando a considerare “sindacati satelliti” Cisl e Uil. E forse questo è troppo. Sulle sue riflessioni sull’attuale leader della Cgil è invece difficile dargli torto.

Complice l’inquilino di via Veneto – intendendo la sede del Ministero del Lavoro, non del Mise – il veterocomunista Andrea Orlando, Landini si sta convincendo di avere orecchie disponibili nel Governo, a prescindere dall’intelligenza della proposta e dal peso della rappresentanza. Ha perso la piccola battaglia sulle mense, dove il Green Pass sembra che sarà obbligatorio come in un qualunque contesto di ristorazione; ma conta molto sui primi di settembre, quando “sono previsti incontri specifici con i ministri, ed il presidente del Consiglio si è impegnato ad avviare un confronto per realizzare rapidamente un protocollo che permetta alle parti sociali, sia a livello nazionale che nei territori, di entrare nel merito della qualità degli investimenti del Pnrr e del suo legame con una nuova politica industriale”. Parola di Landini in una lettera a Repubblica, pochi giorni prima di Ferragosto.

La battaglia persa sul Green Pass in azienda non toglie al leader Cgil l’aureola di paladino dei “no vax”, nella versione alleggerita di “no Green Pass”. Forse lo porta a sottoscrivere il “ni nax” della sindaca di Roma? Ma la questione per Landini non è mai stato il vaccino o il tampone, ma semplicemente il rilascio di un “certificato di esistenza in vita” per la sua organizzazione e – per proprietà transitiva – per Cisl e Uil.

L’obiettivo che si vede all’orizzonte – Governo accondiscendente – è una stagione rinnovata di concertazione. Il modello invocato è quello di Ciampi del 1993, che secondo le parole dell’allora premier, si premurava di assicurare «al Paese un elemento di unità e di coesione in un momento in cui le forze centrifughe erano forti, nella politica, nella società». Ma il 2021 non è il 1993. Di forze centrifughe non se ne vedono più, né nella politica, né nella società. E peraltro non si vedono leader sindacali della statura di Bruno Trentin, che quell’accordo firmò dalla segreteria Cgil. Peraltro, trent’anni fa le organizzazioni sindacali rappresentavano ancora i lavoratori, oggi rappresentano per lo più pensionati (cioè ex-lavoratori).

Il rosario delle richieste del Landini-pensiero d’agosto (forse lo ha compilato per festeggiarsi i suoi sessant’anni compiuti proprio il 7 agosto) sembra un florilegio di ovvietà. Colpevoli.
1. “Serve un piano nazionale per fermare la strage di infortuni e morti sul lavoro”, giusto, ma siamo sicuri che i delegati di fabbrica facciano abbastanza per vigilare le situazioni nelle aziende critiche?
2. “Basta precarietà nel lavoro”: chi può contraddirlo? Ma le politiche attive che nessuno apparecchia sarebbero un toccasana, sempre poco invocate e mai realizzate.
3. “Servono formazione e prevenzione”: ma la formazione non è da anni un’area sostanzialmente delegata alle organizzazioni sindacali?
4. “Bisogna assumere ed aumentare gli ispettori”: ma come? Le decine di migliaia di ispettori del ministero del Lavoro, dell’Inps e dell’Inail, insieme alle forze dell’ordine non bastano a vigilare?
5. “Creare lavoro stabile, sicuro e di qualità per i giovani e le donne”. Chi non lo vorrebbe. Peccato che la malapianta del reddito di cittadinanza – nella sua versione pasticciata e inconcludente adottata dal Governo Conte e mai contestata dalle organizzazioni sindacali – finisce per tenere fuori dal lavoro proprio chi il lavoro non ce l’ha, cioè donne e giovani.
6. “Un nuovo sistema universale di protezione e formazione per tutto il mondo del lavoro”. Peccato che il nostro Paese sia notoriamente composto dal 96% di Pmi, che difficilmente possono essere equiparate nei sistemi organizzativi e di protezione a quello delle grandi aziende. Nonostante gli sforzi del ministro Orlando di scaricare sulle imprese, invece che sulla fiscalità generale, una sorta di politiche passive universali che finiranno per erogare cassa integrazione anche ai dipendenti di aziende chiuse. Una pericolosa contraddizione in termini che sicuramente non favorisce né il lavoro, né i lavoratori.

Cazzola nella sua analisi “anti-Landini” è salace come capita a tanti ex. Individua due ipotesi di tanta confusione: “l’eccessiva calura e l’irascibilità provocata da una dieta ipocalorica praticata visibilmente con successo”.
Io temo ci sia dell’altro: un segno dei tempi, che porta uno steward al Ministero degli Esteri e un mediocre avvocato di provincia alla presidenza del Consiglio. E una leggerezza del pensiero che sconfina nell’irresponsabilità e nel ridicolo.

Antonio Mastrapasqua, 18 agosto 2021

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