Le Sardine, ovvero la morte del merito

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Ci fu un tempo, forse mai accaduto davvero, forse solo mitizzato, quando la competenza, e di conseguenza il merito, venivano davvero apprezzati e, di concerto, l’ignoranza caprina non trovava spazio se non nelle retrovie: “E di questo, cosa ne facciamo?”. “Mah, mettiamolo nello sgabuzzino, a spostare le matite”. Poi, gradualmente, il merito ha perso smalto, trovandosi appaiato all’inettitudine: tutto partiva intorno al ’68, con l’introduzione nella scuola delle baggianate marxiste e basagliane “non esiste la follia”, “pazza è la società”, l’uomo a una dimensione di quel furbo demente di Marcuse, le riletture-bignami in chiave ancor più baggiana, “da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”, e poi il 18 politico, il 27 di gruppo e di ammucchiata, la scuola e quindi il lavoro “di merda”, l’ideologia al posto della conoscenza, la stessa scienza che si ammantava nei panni della militanza.

Processo irreversibile, alimentato anche da certo familismo tossico, che ha portato alla dose omeopatica del merito, non sempre, se proprio non se ne poteva fare a meno, nel mare di mediocrità: “In Rai (ma ovunque, in realtà) hanno preso uno con tessera X, uno con tessera Y, e uno bravo”. Ormai siamo alla demonizzazione del sapere a tutto vantaggio dell’imbecillità: regna il cretino, non necessariamente di talento, anzi se non ne ha è meglio, come abbiamo appena visto al Festival di Sanremo. Dettano legge gli squilibrati, i lunatici, gli esaltati, come Greta sul clima, oppure gli opportunisti senz’arte né parte però adeguatamente griffati: e queste son le Sardine che vogliono cambiare il paese, le sardine del pres/unto amore. C’è questo indaffaratissimo sfaccendato, questo sardina Mattia, che, incredibilmente, si “dialettizza” da pari a pari con ministri, e va bene che sono ministri grillopiddini, quindi robetta di scarto, ma qui si parla del ruolo, della istituzione: ma dove s’è visto mai un lanciatore di frisbee che pretende di dettare la linea ai dicasteri?

E questo cerchietto deambulante, in modo allucinante vien preso sul serio; più conferma la sua consistenza gassosa, la sua concretezza di schiuma, la fisionomia da nipotino del geom. Calboni, “tre scotches”, e più lo ascoltano. Come capo del movimento servile, ha inanellato una serie fantozziana di casini: ha definito Bibbiano “un raffreddore”, “una propaganda della destra”, ne ha difeso il sistema, ed è un sistema che è arrivato, secondo gli ultimi riscontri d’inchiesta, a rubare bambini per darli a strutture gestite da brigatisti; ha cacciato una sardina romana che pretendeva addirittura di parlare; ha proclamato che gli avversari non avevano diritto di essere ascoltati; ha definito Salvini un nemico da abbattere in tutte le salse; ha ospitato sul palco, in nome della tolleranza e del rispetto per la inflazionata Liliana Segre, più moltiplicata di una zuppa di Warhol, una fanatica filopalestinese che vuole annientare Israele; ha inanellato alcune figure da cioccolatino in tivù; ha divorato, vagamente alla conte Ugolino, minacciosi piatti di sardine in diretta; si è fatto un bagno in mare a gennaio; ha ceduto alla vanità di una foto griffata con Benetton e Toscani, fotografo senile che subito dopo ha irriso i morti del ponte Morandi; ha lanciato una proposta demenziale, che neanche Cochi e Renato al meglio della forma, ai tempi dello Zelig, sarebbero riusciti a concepire, circa una moltiplicazione di Erasmus latitudinali, quanto a dire che più ce n’è e più sardine fannullone sfornano; infine, da un Formigli in estasi ittica, si è definito “romantico erotico”, naturalmente in contrapposizione a Salvini che è un tamarro.

Ma come si fa a tener su una roba così? Eppure il vuoto pneumatico, la insostenibile leggerezza del non essere, pagano: adesso il sardina Mattia fa il prezioso, candidarmi io, vedremo, forse a base locale, ma si capisce che già pensa, minimo, a un ministero e l’atroce è che potrebbero perfino darglielo. Meno ne sai più in alto vai. Più su! Gli fa da contraltare una sardina fluida, questa Elly Schlein, solita famiglia benestante, solito estremismo da frequentatrice di convegni con brigatisti, misteriosamente ma non troppo stravotata nell’Emilia piddina al punto da diventare la vice del riconfermato Bonaccini. Una che nessuno si è mai preso la briga di sospettare, fino a quando non è andata dalla Birignao Bignè Bignardi ad informare la plebe che lei è sessualmente possibilista: a quel punto la popolarità è esplosa e ci ritroviamo ovunque la faccia oblunga di quest’altra sardina indefinibile, molto somigliante al cantante satanico Marylin Manson.

Nessuno sa bene cosa sappia fare questa Elly al di fuori dell’alcova: ma basta e avanza, anche lei è in lizza per magnifiche sorti e progressive, il vicegovernatorato emiliano è solo un debutto, i media progressisti la paragonano già a Angela Davis, Rosa Parks, Dolores Ibarruri, Tina Modotti e Nilde Iotti. E non ci si venga a far la morale liofilizzata, non ci si venga ad ammaestrare che “è colpa dei giornali”: quando una sardina va in un salotto televisivo cerca cinicamente un risultato mediatico, stuzzica i media, se ne fa usare per usarli.

Non prendiamoci in giro, sappiamo benissimo come funziona. E i giornali hanno l’obbligo di registrare la realtà, quale che sia, anche per capire, e far capire, che ormai qualsiasi sostanza etica o professionale sono fottute, che conta l’inconsistenza, possibilmente condita da pruderie autoindotta. Ha vinto, insomma, la regola di Vendola, che chi scrive riporta pari pari, senza coloranti né conservanti, pura nel suo surrealismo così come la sentì ad un comizio (seguito per lavoro): “La parola “merito” dovrebbe effere bandita dalla fcuola, è fascista, i bambini fono violini, fono le nuvole di Pafolini”. In teatro scoppiò un’oscena ovazione, anche se nessuno sapeva perché.

Max Del Papa, 15 febbraio 2020

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