Le vignette antisemite del liberal New York Times

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Ricevo da un giovane giornalista un’analisi molto interessante sulla situazione politica israeliana: anche lì, c’è la giustizia ad orologeria. Michael Sfaradi è un giornalista Free Lance in lingua italiana iscritto alla Tel Aviv Journalist Association specializzato in politica mediorientale, analisi militari e reportage di guerra. In italiano ha pubblicato otto romanzi vincendo tre premi letterari Accademia Res Aulica di Bologna nel 2016  e nel 2018 mentre nel 2017 ha vinto il premio letterario ‘Vittoriano Esposito’ città di Celano. 

I vignettisti sono attori importanti nel mondo del giornalismo e perché il loro lavoro possa arrivare completo al lettore è necessario che godano di un’ampia libertà di pensiero, libertà che però deve essere garantita da una profonda onestà intellettuale che impedisca loro di superare i limiti della decenza e del buon gusto. Solo così le loro matite, dissacranti come lo erano i giullari di corte, diventano il mezzo rapido ed efficiente per mettere alla berlina il potente di turno e ridimensionarlo davanti agli occhi della gente comune.

Ma quando si superano i limiti del buon gusto, o peggio ancora viene a mancare l’onestà intellettuale, le vignette e i loro autori diventano odioso mezzo di propaganda, prova ne è che la totalità dei regimi dittatoriali, sia quelli di stampo fascista o nazista quanto di stampo comunista, le hanno sempre usate per incanalare l’odio di massa verso le minoranze, religiose o etniche, o verso gli avversari politici. Proprio per questo i vignettisti, senza snaturare il loro lavoro, hanno il dovere di vigilare contro ogni tipo di strumentalizzazione. Ma tutto questo non è più sufficiente perché oramai le grandi testate internazionali, un tempo garanti della democrazia, si sono trasformate nei portavoce di chi decide quello che la gente deve pensare, di chi decide che non ci sono più limiti da rispettare e questo ha creato la situazione che è sotto gli occhi di chi non ha paura di guardare.

La vignetta apparsa nei giorni scorsi sul New York Times, (riportata in quest’articolo) che raffigura il presidente Trump che con gli occhiali da non vedente che viene portato a spasso da un cane guida con le fattezze di Netanyahu, altro non è che la punta dell’iceberg di un odio che viene costantemente alimentato verso il Presidente Trump in particolare e verso Israele e il suo popolo in generale. Poco conta che sotto la spinta delle proteste sia poi stata ritirata e lascia anche più sconcerto che il direttore e tutti i caporedattori abbiano scaricato le responsabilità sul disegnatore: chiunque abbia lavorato anche nella più stupida delle redazioni sa che nulla viene pubblicato senza l’autorizzazione di un responsabile.

C’è un aspetto però in questa vicenda che è ancora più grave, la vignetta in questione, lo si può vedere dalle altre immagini, riprende il tema antisemita dell’ebreo che porta a spasso il potere, tema già usato nella Germania nazista, nell’Italia fascista e nell’Unione Sovietica comunista. Quando scrivo di onestà intellettuale intendo proprio questo: è onesto disegnare e pubblicare oggi una vignetta del genere? È mai stata pubblicata, dal New York Times o da altra grande testata, Fox esclusa, una vignetta così dirompente contro il presidente durante gli otto anni dell’amministrazione Obama? Eppure per attaccarlo di motivi ce ne sono stati diversi: uno per tutti il mancato aiuto all’Ambasciatore Stevens durante l’attentato di Bengasi in Libia. Il New York Times pensa di poter impunemente pubblicare una cosa del genere nel 2019 solo perché negli ultimi anni l’antisemitismo è diventato antisionismo e con la coscienza smacchiata da un semplice sinonimo, sono in tanti a sentirsi autorizzati ad arrivare a livelli che sfiorano l’istigazione tipica delle dittature del passato e lo fanno credendo di essere nel ‘giusto’ in ogni caso.

Capitolo a parte meriterebbe il concorso della vignetta antisemita sponsorizzato dal governo degli Ayatollah, concorso che se la memoria non mi inganna è stato vinto in varie edizioni proprio da vignettisti italiani. Dando uno sguardo al passato ricordiamo Forattini, che con Israele non è mai stato tenero, al centro di proteste per la vignetta, pubblicata da La Stampa il 3 aprile 2002, che raffigurava un carro armato israeliano che puntava il cannone verso una mangiatoia nella quale un bambino impaurito, identificabile in Gesù per via dell’aureola sul capo esclamava: “Non vorranno mica farmi fuori un’altra volta?!”. Già allora si sentiva che i limiti del buongusto, almeno in Italia, stavano per essere scardinati, comunque niente in confronto a quello che abbiamo visto negli ultimi anni, Vauro docet.

Il New York Times però è la bibbia della sinistra liberal statunitense, e un attacco antisemita come quello messo in atto con questa pubblicazione è per certi aspetti ancora più grave. Dalle destre nostalgiche è facile aspettarselo e si chiama ancora antisemitismo, mentre quando arriva dalle sinistre liberal, quelle dall’anima candita e immacolata perché portatrici della verità, della cultura e del progresso, debbono necessariamente essere sempre classificate come ‘critiche’. Parlando però con la gente comune, con il popolo israeliano in Israele ed ebraico nel mondo, ci si rende conto che in molti sono consapevoli che l’antisemitismo di sinistra è il più attivo e che anche se si definisce antisionismo non gode più di alcun paravento.

Se è vero che esiste un antisemitismo di destra post fascista e anche vero che ne esiste uno di sinistra che ancora segue le linee guida modello soviet supremo di chi vorrebbe distruggere Israele, e che anche quest’ultimo va combattuto con la stessa forza con la quale si combatte ogni tipo di antisemitismo.

 

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