L’ipocrisia di chi scopre ora la scuola classista

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La discriminazione che si consuma nel silenzio non sdegna. Basta dichiararla… e ai buonisti bastano le scuse per tollerarla. Da alcuni giorni la cronaca ha dato ampio spazio allo sdegno dei buonisti nei confronti della preside dell’Istituto romano sul cui sito era in bella mostra – da oltre un anno – la distinzione degli studenti per censo, e quindi per plesso: i borghesi, gli operai, i figli delle colf.

Lo sdegno si consuma in tre giorni, il tempo sufficiente di una notizia flash che ripete il solito cliché, senza i necessari approfondimenti, perché senza colpi di scena la gente cambia canale. Si invocano le pubbliche scuse della preside nei tempi televisivi fatti di sdegno radical chic, di show, di teatro dell’assurdo. Il giornalista che accosta termini come “scuola pubblica classista” non si rende minimamente conto, insieme ai politici di turno e a 20 anni dalla legge sulla parità, che il sistema scolastico italiano non è inclusivo. È tutta classista, la scuola. Incostituzionale. Il ricco sceglie e il povero si accontenta.

Sinceramente reputo la “tre giorni di fuoco incrociato” gravemente offensiva dell’intelligenza del cittadino che da anni denuncia un sistema scolastico italiano classista, regionalista e discriminatorio. Migliaia di persone di scuola (genitori, insegnanti, presidi) ritengono offensivo il comportamento di molte trasmissioni televisive, testate giornalistiche, politici che propinano agli italiani una tale grossolana disinformazione, accostando nella peggiore modalità trash la preside di questa scuola, che non si espone a chiedere scusa, a Capitano Ultimo, che ha al contrario ragione di temere essendo un perseguitato dalla mafia.

La pubblica Tv, i giornali che devono informare correttamente, i politici che hanno fatto e faranno le leggi accostano termini quali inclusione, integrazione, uguaglianza al capitolo scuola trattando i cittadini da persone che non pensano, non leggono, non reagiscono. Questi soggetti che hanno il potere dell’informazione e non riescono a trasformarlo in servizio alla verità dovranno rendere conto al cittadino attivo, pensante, che ha la competenza e la conoscenza.

A chi si è sdegnato perché questa preside ha scritto nero su bianco sul sito che esiste una distinzione di censo tra i plessi dell’unico Istituto Scolastico che presiede, occorre rispondere che da 20 anni – fino alla recente indagine Ocse-Pisa (non lo showman di turno) – si dichiara che il Sistema Scolastico Italiano è iniquo. Solo in Italia, la più grave eccezione in Europa, i genitori devono pagare due volte nell’esercizio della propria libertà di scelta educativa rispetto alla scuola pubblica. Chi non può pagare si accontenta e va nel plesso di serie B. Nessun polverone mediatico, ad oggi, rispetto all’ultima indagine Ocse-Pisa che afferma: “In Italia, il sistema scolastico è iniquo: egualitario sulla carta, nei fatti non rimedia le differenze tra gli studenti legate al contesto familiare e sociale, anzi concorre a determinarle”.

Da tale sistema scolastico non può derivare il positivo sviluppo di un Paese, a livello economico e sociale. Di seguito i termini della questione.

1. La scuola pubblica secondo la Legge italiana – di cui parla il giornalista dal volto contrito perché discrimina – è cosi composta: 564 scuole pubbliche paritarie frequentate da 866.805 studenti e 40.749 sedi scolastiche pubbliche statali, frequentate da 7.599.259 studenti.

2. Le scuole pubbliche dal 1948 ad oggi sono costrette a fare i conti con questa realtà lapidaria: Il ricco sceglie e il povero si accontenta. Il ricco può scegliere fra una pubblica statale (dopo aver pagato in tasse 10 mila euro pro capite per gli alunni di quest’ultima) e una scuola pubblica paritaria, potendo pagare una seconda volta con la retta. Il povero non può scegliere: avendo anch’egli pagato per l’alunno statale i 10 mila euro annui, ha finito i soldi. È costretto ad iscrivere il figlio alla pubblica statale. Nessuna scelta per il povero (o per chi ha due o tre figli…) nell’ambito dell’istruzione pubblica, statale e paritaria.

È una ingiustizia tutta italiana, quella di non poter scegliere, che viene sdoganata come privilegio, mentre si contravviene alla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, art. 26.

3. In Italia il diritto all’istruzione è riconosciuto ma non garantito disattendendo l’art. 3 della Costituzione: di fatto si tollera la più vile delle ingiustizie, cioè la discriminazione sul diritto di apprendere degli studenti per ragioni economiche.

4. Da qui il sistema scolastico italiano, anziché essere ascensore sociale, è un sistema classista (il ricco sceglie e il povero si accontenta), discriminatorio (il disabile vive il dramma di trovarsi senza docente nella scuola statale e con la domanda “chi paga?” nella paritaria), regionalista (agli ultimi posti Ocse-Pisa si arriva perché la Campania e la Sicilia guadagnano gli ultimi posti, mentre la Lombardia e il Veneto i primi).

5. Il ministro di turno è consapevole che un allievo della scuola pubblica statale costa di tasse dei cittadini 10 mila euro all’anno, a fronte dei 500 euro annui destinati all’allievo della scuola pubblica paritaria, che in una logica di sussidiarietà al contrario diventa il primo finanziatore dello stato italiano (con un guadagno di 6 miliardi di euro … non solo “senza oneri per lo Stato”, ma “con grande beneficio e guadagno per lo Stato”).

6. Non è tutto: l’ultimo ma ottimo ragioniere del Ministero sa che a fronte del costo di Pierino disabile, per la scuola pubblica statale, di 20 mila euro di tasse dei cittadini, lo Stato destina solo 1.700 euro per lo stesso Pierino se il padre lo iscrive ad una pubblica paritaria. Guadagno netto: 18.300 euro; a seguire ecco la Summa dei proclami inintelligenti e falsi: “tagliare i lauti (!) contributi della scuola pubblica paritaria risolleva la scuola pubblica statale”. Il cittadino colto che ragiona ne deduce, invece: “Tagliare o togliere la scuola pubblica paritaria ammazza la scuola pubblica statale”.

7. Dunque il Ministro di turno si sdegna perché scopre che il sistema scolastico non è inclusivo, colpevolizzando il dirigente della scuola pubblica statale (un eroe della gestione in assenza di autonomia scolastica) e infamando quello della scuola pubblica paritaria (tacciato come razzista che non accoglie poveri e disabili), incurante – il Ministro – del quesito: “chi paga? La scuola pubblica paritaria, indebitandosi sino a chiudere?” Già. E cosi l’ingiustizia (dello Stato) è camuffata da privilegio (del cittadino considerato reprobo): il ricco può scegliere la scuola che vuole; la scuola paritaria è classista: esclude il povero – o chi ha due o tre figli.

8. La pseudo ingiustizia dichiarata sul sito della famosa scuola non è peggiore dell’ingiustizia che si consuma nel silenzio da anni, alimentata da una politica incapace di garantire il diritto di apprendere degli studenti e il diritto di educare dei genitori a costo zero, esattamente senza oneri per lo Stato (anzi, con guadagno, come scientificamente dimostrato con i costi standard). Si è ampiamente chiarito che un costo di 89.000 euro, per formare un alunno della pubblica statale fino al diploma, è una cifra fuori controllo. L’Italia spende male…. promettendo, in campagne elettorali, posti di lavoro a docenti ingannati per cattedre inesistenti.

Fuori dalle scuole pubbliche paritarie c’è un cartello, che non sdegna perché virtuale, di questo tenore “Qui i poveri e i disabili non entrano”. Dove è lo sdegno?

Dovrebbe esserci per il tradimento dell’impegno che la Costituzione impone allo Stato Italiano di rimuovere tutte le cause di discriminazione tra i cittadini: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.» (Art. 3 Cost. It.). Ora il mondo politico, i sindacati e le associazioni si trovano davanti cittadini che domandano con forza per l’Italia, come avviene in tutta Europa, la libertà per i genitori di scegliere fra una buona scuola pubblica statale e una buona scuola pubblica paritaria a costo zero, avendo pagato le tasse.

Ma soprattutto, a 20 anni dalla legge 62/2000, le scuse della reproba scuola romana non servono a nessuno. L’unico passaggio, di fatto, che la storia suggerisce è 1. l’individuazione del costo standard di sostenibilità per allievo nelle forme che si riterranno più adatte al sistema italiano, 2. la conseguente possibilità di scegliere, per la famiglia, fra buona scuola pubblica statale e buona scuola pubblica paritaria.

Si innescherebbe così un circolo virtuoso che romperebbe il meccanismo dei tagli, conseguenti a sempre minori risorse (perché sprecate) che producono a loro volta altro debito pubblico. Il Welfare non può sostenere altri costi; non a caso il Principio di Sussidiarietà, oltre ad avere una valenza etica, è anzitutto un principio economico prioritario. Europa docet.

Dario Antiseri con Anna Monia Alfieri, 20 gennaio 2020

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