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L’Isola delle Rose: perché stravolgere una storia incredibile?

di Omar Squizzato

L’incredibile storia dell’Isola delle Rose: così Neflix ha deciso di intitolare la sua produzione originale che milioni di italiani, complice il coprifuoco e la zona rossa di Natale, hanno visto sulla nota piattaforma on demand nel corso delle recenti festività. E non c’è dubbio, davvero la storia -vera- di una micronazione esistita appena fuori dell’Italia per alcuni mesi nel 1968 è incredibile… ciò che non è chiaro, allora, è il motivo che ha portato Sydney Sibilia ed i suoi collaboratori alla sceneggiatura a cambiare tanto, troppo, stravolgendo -così- il senso intero della grandiosa impresa dell’ingegner Rosa.

Intendiamoci: il film è bello, divertente, stravagante, ma non può non lasciare perplessi i (pochi) spettatori che dell’Isola sorta al largo di Rimini già conoscevano bene la vicenda storica ed -ahimè- la triste fine. In particolare, chi si è spinto addirittura a scriverci sopra una parte della tesi di laurea non può tacere delle diverse incongruenze che riscontra, ed allora ecco che sente il bisogno di fare un po’ di ordine… non me ne vorrà Netflix, che comunque -gliene sono grato- ha il merito di aver portato una tanto straordinaria storia alla conoscenza del grande pubblico, finora perlopiù inconsapevole.

Innanzitutto, i tempi: Giorgio Rosa nasce a Bologna nel 1925, si laurea nel 1950 ed intraprende la professione di ingegnere, che gli porta soddisfazione e successi; quando, dopo anni di progetti, realizza l’Isola, è un benestante quarantenne sposato ed ha un figlio, e peraltro il tempo che riesce a trascorrere in mare è molto ridotto, a causa dei suoi vari impegni familiari e lavorativi (è anche consulente ed insegnante). Certo, la performance di Elio Germano non è male, ma il problema sta a monte: c’era davvero bisogno di far apparire il Rosa come uno squattrinato e strampalato giovanotto, che realizza strani prototipi e che fa ciò che fa -in fin dei conti- per stupire la ragazza che desidera e che sembra non ricambiarlo?

Poi, la costruzione della piattaforma: senz’altro essa fu atipica e -in qualche modo- home made, ma davvero si può pretendere che lo spettatore creda che dei pali da fissare sul fondo marino siano stati messi in opera da un paffuto amico del progettista, che – a nuoto, da solo – li avrebbe posizionati ed assicurati al fondale? Ancora: la questione legale e giuridica, con quell’improbabile trasferta (e con che mezzo!) a Strasburgo per perorare la causa dell’Isola… di tutto ciò non c’è traccia in nessuna delle fonti, ed è altamente improbabile che sia mai accaduto, anche se qualche amico docente di Diritto avrà sicuramente fatto la battuta al visionario ingegnere.

Per non parlare d’altro, infine, la distruzione del manufatto, avvenuta -questo si- con cariche di esplosivo fatte detonare a più riprese dagli incursori della Marina, ma mai con la necessità di sparare colpi di cannone verso civili inermi (e per fortuna!). In realtà, seppur sia forse lecito parlare di una dichiarazione di guerra da parte italiana (dopotutto l’isolotto non era Italia, ma era altro, essendo fuori dalle acque territoriali nazionali), si deve stare certi sul fatto che nessun incrociatore militare solcò mai il mare riminese per porre fine ad una ‘minaccia’ più teorica che effettiva: tutti i testimoni parlano di alcune pilotine della Polizia, nulla di più.

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