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Lo stop ad Aleksandr Dugin, la sinistra e il vizietto della censura

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La sinistra finalmente è tornata a fare quello che le riesce meglio: censurare. D’altronde era quasi un mese che nessuno veniva cacciato da un Salone del libro o demonizzato con argomenti comici. Per fortuna è apparso all’orizzonte il guru russo Aleksandr Dugin. All’università di Messina gli hanno già impedito di parlare, altrove si stanno organizzando per non essere da meno dell’ateneo siciliano.

Dugin è perfetto: sta sulle scatole a tutti. Probabilmente considera l’Europa una propaggine dell’Asia o meglio dell’impero russo. Ai liberali non piace la critica al capitalismo, ai progressisti non piace il richiamo alla tradizione, ai sedicenti intellettuali non piace il recupero del populismo. Il Partito comunista d’una volta censurava con spregevole ipocrisia ma anche con criminale sapienza. Quando calava la mannaia su Pasternak o Solgenitsyn o la Biennale del dissenso, lo faceva con una strategia: oscurare il nemico politico che ben conosceva. Cosa che non si può dire degli adepti del politicamente corretto.

Per colpa di questi epigoni del comunismo, l’Italia è eternamente impantanata in dibattiti che si potrebbero evitare a patto di essere in possesso di un decoroso livello di istruzione. Ad esempio: no alla statua di Gabriele d’Annunzio a Trieste, il Vate era un pericoloso fascista. Un pericoloso fascista che solo per caso scrisse la più libertaria e moderna delle costituzioni, la Carta del Carnaro (1920). Altro esempio: no all’incontro futurista su Marinetti a Palermo, anche il «cretino fosforescente» (come lo chiamava d’Annunzio) era un pericoloso fascista. Un fascista tanto pericoloso da essere accantonato dal Regime che al Futurismo preferiva il ritorno all’ordine del classicismo. Il mondo è pieno di sfumature, tra l’altro. È possibile essere al contempo grandi uomini di pensiero e grandi fascisti. Non ditelo ai sedicenti intellettuali, poverini, sarebbe un rompicapo da emicrania per le loro testoline.

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