Omeopatia dal 1810 al 2019 (Giorgio Dobrilla)

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Omeopatia dal 1810 al 2019

Non mancano i libri pro o contro l’omeopatia. Ma questo del professor Giorgio Dobrilla, Primario Emerito di Gastroenterologia, ma ormai divulgatore scientifico a tempo pieno e attento soprattutto alle pseudoscienze, Omeopatia dal 1810 al 2019 (C’era una volta Edizioni) non è pleonastico. Dobrilla si avvale della collaborazione di Alex Cimino, esperto di informatica e di ricerca bibliografica. Il volume, con prefazione di Silvio Garattini, comincia coi tre cardini dell’omeopatia classica pensata dal fondatore, il medico tedesco Samuel Hahnemann (1755-1843): il principio del similia similibus curantur (curare con rimedi capaci di produrre, a basse dosi, sintomi simili a quelli della malattia), la necessità di diluire molte volte in successione progressiva una soluzione madre e agitare molte volte il preparato.

Il fatto è, chiarisce Dobrilla, che dopo un numero finito (generalmente piccolo) di diluizioni, non c’è più manco una molecola della sostanza iniziale e ogni successiva diluizione equivale a diluire acqua con acqua. Per esempio, se la soluzione madre fosse una soluzione acquosa satura di zucchero (circa 300 grammi in un litro d’acqua), giunti a 12 diluizioni centesimali (ogni diluizione successiva si ottiene prelevando un centilitro di soluzione e aggiungendo acqua pura fino a un litro) non v’è più alcuna molecola di zucchero. Neanche una. Il libro spiega poi come nulla è stato lasciato intentato: sono state proposte varie ipotesi quali la «memoria», termoluminescenza o «coerenza» dell’acqua, tutte rivelatesi, alla prova dei fatti, inconsistenti.

Gli autori hanno anche considerato la possibilità che una pratica curi anche se non si capisce il perché. In tal caso la cura dovrebbe essere accettata come scientificamente valida, a patto che gli effetti siano documentati in altri studi clinici, indipendenti e condotti secondo canoni codificati dal metodo scientifico stesso. Perché l’essenza del metodo scientifico è questa: si avanza un’ipotesi, la si sottopone a verifica e, se questa fallisce, l’ipotesi va rigettata. Ma la letteratura disponibile, analizzata dagli autori rivela che gli studi intenzionati a dimostrare l’efficacia specifica dell’omeopatia sono metodologicamente fragili. Al contrario, gli autori riportano studi pubblicati su riviste autorevoli e importanti documenti indipendenti che assegnano all’omeopatia solo un effetto placebo.

È vero, come ribattono gli omeopati, che molti farmaci tradizionali sono anch’essi privi di prove di efficacia specifica, ma ciò non allevia la condizione dei rimedi omeopatici: questi e quelli andrebbero tolti dal prontuario e non risultare a carico dei contribuenti dal SSN. Circa la mancanza di effetti collaterali, è chiaro che non contenendo il rimedio omeopatico alcuna sostanza attiva, non possono esserci neanche effetti avversi diretti. Possibili e temibili, al contrario, quelli indiretti costituiti dal trascurare rimedi che, pur con effetti collaterali, sono efficaci.

Circostanza che può risultare fatale se si è veramente malati. Leggendo questo libro non si può non rimanere perplessi di fronte all’invito ufficiale del governo indiano a proteggersi dal recente coronavirus con rimedi omeopatici e ayurvedici.

Nicola Porro, Il Giornale 16 febbraio 2020

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