Cultura, tv e spettacoli

L’oscillante nulla di Chiara Valerio: parla parla e non si capisce un corno

chiara valerio

Il problema con (le) Chiara Valerio è che non capisci mai se ci marcia o ci crede, insomma se ci è o ci fa. Tu la vedi e dici: no, dai, non può fare sul serio, è tutta posa, lo sa anche lei. Però poi ti arresti davanti ad una perplessità: fino a che punto posando ci si può rendere irreali? Perché le Chiara Valerio non sembrano nemmeno vere: quell’oscillare, avanti e indietro, così problematico, molto problematico, ma non sarà un modo di atteggiarsi invece? Quei sillogismi d’arabesco, bizantini, quelle contorsioni che fanno la delizia dei social, e anche di qualche talk show, “l’uomo… la poltrona…”, è nato prima l’uomo o la poltrona? Forse è nata prima Chiara Valerio, profetessa dell’amichettismo che ti infila dappertutto.

Sempre così improbabili eppure così tipiche, le nostre Chiare Valerio, che, domando perdonanza, sembrano mettercela tutta per apparire fuori tema, testo e contesto (“baby, baby, baby you’re out of time…”), e qui sospettare una particolare cura armocromistica e parrucchieristica è inevitabile: quelle divise, secche, angolose, un po’ sul cubista sovietico, alla Kurasov, quelle cofane spaziali da sora Cecioni, quegli occhialetti leninisti-lenninisti, da John, il Beatle, che spersonalizzano, che sfemminilizzano, che rendono tanto persona umana, ma un poco disumana. E vengon su, sempre di più, e invadono l’aere e la rete di costruzioni mentali, di traiettorie inafferrabili, di discese ardite e risalite sulla corrente di una logica incomprensibile per me, ma per te così importante, lo sento è presente…

Io, Chiara e l’oscuro. Io sono disperato dovendo recensire (le) Chiara Valerio, perché scatta prepotente l’effetto Giovannone, il “sotto’o’o” del Mascetti: “’Un ho capito un ca**!”, così, arrotando i coltellacci, dopo la supercazzola del conte. «Una persona che sta al governo non mi aspetto dica cose di senso comune, mi aspetto che dica cose che danno immaginazione, un progetto di cambiamento».

Immaginazione, sicuro. Immagina: puoi capire quello che ti pare. O forse no, e non c’è niente da capire. Ma come la pigli, come la decodifichi, santa Madonna, questa creatura che, sempre più somigliante a Mark Hollis, quello dei Talk Talk (“It’s a shame!”, 1983, MTV regnava e noi si cresceva sentendo Rod Stewart), trova che “distinguere l’umanità in uomini e donne è un’idea troppo vecchia”, però finisce sempre per voler imporre la visione delle donne, sempre fatta salva l’immaginazione, il progetto di cambiamento? Con quel cipiglio sussiegoso, olé, che hanno sempre le Chiara Valerio, sull’incavolato un po’ tetro, ombroso, da tappezzeria stinta, da mobile vecchio, ma ci crede davvero? O recita, si atteggia? E perché poi tutte così, senza mai una variazione sul tema? Perché tutte in divisa, sandalo basso, costosa trasandatezza ricercata, laicismo estetico vagamente respingente, mai davvero empatiche, ma che te ciancichi ahò, ma che te oscilli, he uno ad andarci a cena si sente sulle spine da quando si siede finché non paga il conto (maschio fai schifo ma è giusto che paghi), ed è certo che non parli mai, parla solo lei, il modello ChiaraValerio, che nell’arco di un aglio, olio e peperoncino ti zompa dal patriarcato al colonialismo e con un triplo carpiato reale plana sul libro come antidoto alla violenza di genere: “Giovannone!!! Icc’è una che ti voleee!

Oh, come on, you cant’ be serious. Ma dai, lo fa apposta. No, no, è proprio spontanea, le sue oscillazioni, da bambina in disagio, ma forse è solo per ribadire un genere, un gender, l’influencer complessizzata, una ChiaraFerragni più articolata. Nel senso di Articolo 1, quello di Speranza. Il fatto è che “questa gente ce l’abbiamo addosso”, e ce la sopportiamo all’incirca da un secolo: abbiamo (avete: chi scrive non c’è cascato mai neanche per un momento) dato credito, e paziente credito, a generazioni di birignao, di false complessità, di pseudointelligenza, di finta articolazione, quando sono personaggetti, domando perdonanza, inconsistenti, con le loro pose, le loro oscillazioni, i loro surrealismi, i loro dadaismi, il millantato credito culturale di chi non va oltre uno Zerocalcare, le spaghettate aglio olio e peperoncino che probabilmente non sanno preparare, l’attitudine indigesta a procedere per luoghi comuni, una marcia trionfale e funebre di slogan, un parlar per schematismi arbitrari, incomprensibili, fuffa, tonnellate di fuffa peggio della CO2, una tragica incapacità di arrivar mai ad alcunché di concreto, di fondato, non si dica sensato, per questa gente – che ce l’abbiamo addosso – vale solo ciò che è irrealizzabile, deleterio se mai, vale il libro dei sogni da tradurre in incubi per la povera gente che millantano di voler difendere.

Forse hanno ragione quelli convinti che la sinistra è abitata da gente con problemi di adattamento, nella migliore delle ipotesi, comunque tipi ameni che nutrono quel narcisismo arrogante tipico di chi per imporre la propria visione non si ferma davanti a niente: il bene sono io e se occorre sterminare l’umanità per farlo trionfare, ebbene avanti, popolo. O magari siamo solo noi, che non ci capiamo mai una mazza, che la prendiamo quasi un po’ per una pazza, e invece non cogliamo la sua stazza, siamo solo noi, che ci difendiamo terra terra, che coi concetti non facciamo guerra, chi uccide è un criminale e va fermato, lascia perde ‘sto patriarcato.

O magari pure io sto perdendo tempo, sto valerieggiando, “Giovannoneee!”, e ha brutalmente ragione la mia Serena, la fisioterapista che con amore e sapienza mi rimette in sesto la spalla disintegrata: “Vabbè, Max, ma queste, alla fine, chi se le fila…?”.

Max Del Papa, 25 novembre 2023