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M5s: s’avvicina la resa dei conti

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Prima o poi doveva accadere: il Movimento Cinque Stelle è sul punto di deflagrare. Come diceva Giambattista Vico, la natura delle cose è nel loro nascimento. E l’origine del Movimento è in un fragoroso e sonoro “vaff.”, in un no a tutto e a tutti non ben articolato. Sì, c’erano le suggestioni di Casaleggio, oltre al rancore di Grillo, ma esse non facevano che complicare la situazione: volevano essere futuristiche ma riprendevano idee tanto vecchie quanto impraticabili, oltre che pericolose, quali la democrazia diretta e quella radicale dell’ “uno vale uno”. Per fortuna, i grillini erano persone comuni, non fanatiche come i rivoluzionari del passato, che al massimo qualcuno di loro (tipo Di Battista) provava a scimmiottare senza credibilità.

Una volta al governo, delle amministrazioni locali prima e del Paese poi, essi si sono riconosciuti in un solo elemento: il potere, con le sue lusinghe e le sue ipocrisie. Uno alla volta sono così crollati tutti i “miti fondativi”: la sobrietà anti-casta (che faceva andare in autobus Fico alla Camera) ha ceduto il posto alle auto blu; la conclamata autonomia alle possibili alleanze elettorali; il vincolo di mandato alle eccezioni ad personam; il versamento nelle casse di Rousseau a quello solo nelle proprio tasche. L’anti-casta si è trasformato nella nuova Casta, che per di più non ha nemmeno qualche idea sensata come quella di un tempo pure aveva. Ma allora quale vincolo può tener legati fra loro i grillini? E quale prospettiva può aprirsi per loro, singolarmente, considerato che gli italiani hanno ormai capito il gioco e dirotteranno sempre più altrove la loro sacrosanta indignazione su chi è al potere? Tornare a casa a cercar lavoro o fare al massimo il ragioniere in una sfigata start-up?

Ma mi faccia il piacere! avrebbe detto il principe De Curtis. Quindi tutti a provare a salvarsi il lato b. Che il “liberi tutti” fosse iniziato da tempo, e che i coltelli volassero sotterranei, a mala pena coperti dalle ipocrisie da vecchi democristiani, lo avevamo capito da tempo. E che nessuno fosse più in grado di far rinserrare le fila, nemmeno Grillo, lo capivamo dal viso sempre più incolore del nuovo e incolore reggente. Lasciato Crimi a bollire a fuoco lento nella canicola romana, il suo predecessore, il più furbo di tutti, Luigino di Maio da Pomigliano d’Arco, nello stile della più consumata Casta, si concedeva generosamente con la sua bella nelle acque della Costa Smeralda al fotografo personale ufficiale (ben pagato) e a quelli dei giornali “scandalistici” (come un tempo si chiamavano, quando c’era meno ipocrisia in giro e gli “scandali” non erano concordati).

Tutto scritto, ma sarà per le prospettive economiche non rosee dell’autunno, sarà per la débacle annunciata delle regionali (a mala pena mitigata dalla probabile vittoria referendaria), all’improvviso le tensioni interne son venute tutte fuori esplodendo. E la guerra di tutti contro tutti si è appalesata. La causa è stata un incidente, più o meno spontaneo (a volte le “manine” possono anche semplicemente agevolare senza spingere), provocato da una delle tante deputate (e deputati) insignificanti di cui il Movimento ha riempito le Camere: tal Federica Dieni, anni 34. La quale, lette le carte in quanto in quota Movimento al Copasir, a far passare nel decreto pandemicamente emergenziale un colpo di mano Contiano che nulla c’entrava proprio non se l’è sentita. Ha presentato perciò un emendamento alla parte concernente la nuova regolamentazione dei Servizi ed è riuscito a farlo firmare da ben 50 grillini, cioè un quarto del Movimento.  Né lo ha poi ritirato, nonostante le ingiunzioni (vere o finte?) dei capi. Alla fine in 48 non si son presentati al voto, incuranti dei danni che avrebbero  potuto causare al governo rischiando persino di farlo cadere sul voto di fiducia che, contrariamente a quanto promesso, Conte ha subito messo su tutto il decreto.

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