Ma su Silvia Aisha Romano, cosa c’è da festeggiare?

Aisha, non più Silvia, è felice, convertita e desidera tornare presto in Kenya

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Si fatica a mettere in ordine le assurdità, le mistificazioni sulla cooperante Silvia Romano ma una doppia foto riassume tutto: lei nella prima vita, giovane, vezzosa, canotta scollata e shorts, una bella ragazza italiana, occidentale; lei, non più lei, non più Silvia, Aisha, paludata da testa a piedi, occhi sbarrati, gonfia, verosimilmente incinta. Dentro questa giustapossizione tutto il dramma, tutte le cose che non tornano. Secondo la sinistra di legno, rimbambita di ideologia, va tutto bene: va bene il riscatto, i 4 milioni – con o senza Iva? – il significato icastico, catastrofico per l’Italia, ottimo per il fondamentalismo islamista, l’annientamento di una ragazza italiana, farfalla alla rovescia, involuta in crisalide, a definitiva umiliazione dell’occidente cristiano.

Va bene la conversione spontanea, il cambio di nome, la volontà manifesta di tornare in Kenya, la totale mancanza di riflessione su una scelta avventurista che impegna e impiega forze italiane, va bene il finanziamento del terrorismo, va bene tutto. E guai a chi oggi non esulta, anche se non si capisce cosa ci sarebbe da celebrare. Se Aisha, non più Silvia, è felice, convertita e smania dalla voglia di tornare dai suoi padroni, non carcerieri, non aguzzini, allora che stiamo festeggiando? Se l’occidente è la solita terra da sanificare, da cambiare, da ripensare, da mondare dal capitalismo consumistico, da rendere più simile agli standard islamici, perché lei è tornata indietro? Se tra l’Italia e il Kenya il peggio è l’Italia, se il vero rapimento è qui, adesso, allora che senso hanno i canti e i battimani? Se la sua scelta è genuina e lei per prima non parla più di sequestro, di prigionia ma, in modo ambiguo, di permanenza, di libere scelte, dove starebbe il suo eroismo?

Le è stata consentita a caro prezzo (per il paese) una visita a casa, dai familiari, e una passerella, questo è fatale, per i media spalmati nel suo trionfo, prima di rientrare? La strada della sua casa, al Casoretto, quartiere dell’est milanese, si è subito riempita di cartelli con la griffe di Emergency e delle Ong “cooperanti”: su cosa mettevano la firma se non la resa da parte di un modello di vita e di società bene o male evoluto ad uno arretrato e feroce? Forse l’incasso dai terroristi di Al Shaabab, legati ad Al Qaeda, in funzione di nuove stragi? Le campane della chiesa cattolica, ancora fino a prova contraria, di san Maderno, cosa celebravano? La conversione di Aisha che vuole convertire all’Islam anche i congiunti?

Queste ed altre questioni, spinose, gli intossicati di ideologia, che è come dire quelli in malafede, le aggirano, preferiscono rifugiarsi nel populismo comunista gravido di luoghi comuni: l’eroina, la salvezza, la generosità, esultiamo tutti insieme, chi non capisce è un boia, chi pone domande e riflette è un fascista. L’odio, finto ma esibito, verso l’occidente dei privilegiati del sistema di mercato occidentale non si smentisce anzi si esalta in situazioni estreme come quella di Silvia Aisha, che sarebbe la moglie di Maometto. Ed è l’odio dei cuoricini sensibili, dei restiamo umani, del quale anche chi scrive ha subito sperimentato i rigurgiti.

Intolleranza e retorica in saldo. Gad Lerner è arrivato, in un eccesso di patetismo un po’ sciacallesco, a scomodare i due ragazzi del Leoncavallo, centro sociale del luogo, Fausto e Iaio, abbattuti il 18 marzo del 1978, due giorni dopo via Fani. Cosa c’entrassero due giovani annientati 42 anni fa, non si è mai chiarito da chi anche se sono forti le ombre neofasciste, con il ritorno di una cooperante convertita all’Islam, ma forse incline già alla partenza, solo il dio di legno della nostalgia lottacontinuista lo capisce. La cantante Fiorella Mannoia da parte sua si diverte a bannare chiunque ponga una domanda quanto a dinamiche, contraddizioni, ambiguità: una miopia, una latitanza del pensiero che non stupisce ma lo stesso atterrisce: Fiorella, la cui vita è un pendolo tra la noia comunista e il dolore grillino, si vanta della propria censura, dall’alto della sua ignoranza sega i dissidenti in fama di ignoranti.

Ma l’immagine della giovane non più lei, che mentre si concede alle telecamere si accarezza il ventre come a mandare un segnale, che parla in termini benevoli dei carcerieri non carcerieri, esaltata dai media nazionali mentre Conte e Di Maio fanno a gomitate dietro le mascherine, è spaventosa e merita un pensiero un po’ più serio quanto a regole sulla cooperazione, responsabilità di queste Ong sciagurate, ruolo del pedone impazzito Italia nell’eterno scacchiere geopolitico: siamo il Paese che paga tutti, che di fatto finanzia il terrorismo di chi vuole cancellare l’Occidente, siamo il posto da cui allegramente partire per farsi rapire. Stando così le cose, perché non varare una regola semplice ma ferrea: chi si caccia in guai estremi come le cooperanti per libera scelta, è tenuto a rifondere allo Stato i soldi del riscatto, in comode cambiali a vita, modello Fantozzi.

La diplomazia americana aveva sconsigliato il governo italiano dal riscattare un potenziale insider fighter, per dire un ostaggio che non si percepiva più come tale, che si era radicato nella sua condizione al punto da sposarsi e proliferare, si era convertito all’Islam più violento e che una volta tornato avrebbe scatenato una campagna d’immagine trionfale per il fondamentalismo, umiliante per il suo paese. Così è stato, ma le ragioni della propaganda stracciona non conoscono ragione.

L’Italia celebra il ritorno di una ragazza italiana che non esiste più, è stata annientata, considera la vera patria il Kenya, dove è stata ridotta a strumento di un business tragico. La storia di Silvia non più Silvia, ormai Aisha senza ritorno, che ha introiettato ciò che non sapremo mai merita rispetto, anche se l’empatia è più difficile dato il modo di porsi. Rispetto, ma non al punto da non porsi questioni gravi, urgenti, che la dignità di un pensiero onesto impone.

Max Del Papa, 11 maggio 2020

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