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Marcia su Roma, che idiozia paragonare Meloni al Duce

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Così come, secondo una celebre frase di Bertold Brecht, sono ben tristi i popoli hanno bisogno di eroi, anche quelli che dopo cento anni sentono la necessità di resuscitare cadaveri politici di un passato morto e sepolto non sono da meno. Ovviamente mi riferisco a ciò che sta accadendo in Italia nel centenario della famigerata Marcia su Roma.

Un avvenimento ancora assai controverso, che per molti studiosi privi di paraocchi ideologici si risolse in un poco più di una pagliacciata. Tanto è vero che senza l’intervento di re Vittorio Emanuele III, che in tal modo costrinse alle dimissioni l’allora presidente del Consiglio Facta, i 28 mila militari armati di tutto punto, dislocati a presidio della Capitale, avrebbero disperso in brevissimo tempo le scalcinate avanguardie fasciste composte da qualche migliaio di facinorosi armati alla bell’e meglio. In questo senso lo splendido film di Dino Risi, con Gassman e Tognazzi protagonisti, rende a mio avviso una idea piuttosto ragionevole di un avvenimento molto sopravvalutato.

Sta di fatto, e ciò e ancora frutto di discussione tra gli storici, che grazie alla connivenza del Re e di un vasto coacervo di interessi economici e politici ben radicati in Italia, venne compiuto il primo passo verso un regime che avrebbe condotto, oltre vent’anni dopo, il Paese verso un conflitto bellico che lo lasciò in macerie. Una sorte la quale, vorrei sommessamente ricordare, non coinvolse un altro analogo dittatore del Novecento, il ben più accorto Francisco Franco, che tenne prudentemente la Spagna fuori della Seconda guerra mondiale, e che per questo il suo regime sopravvisse fino alla sua morte, avvenuta nel 1975.

A tale proposito, onde sfatare la favola nera secondo cui la Marcia di Roma fu un vero e proprio colpo di Stato ai danni di una democrazia liberale che si stava cercando faticosamente di consolidare, schiacciata come era dagli estremismi violenti ed eversivi di destra e di sinistra, è bene ricordare alcuni acclarati fatti che ad essa susseguirono.

In primis, come citato all’inizio dell’articolo, fu il Re “sciaboletta” a prendersi la responsabilità di legittimare l’illegale quanto scalcinata Marcia su Roma dei fascisti. Allo stesso modo, fu sempre Vittorio Emanuele III che, dopo essersi consultato con i massimi dirigenti della classe liberale, decise di dare l’incarico di formare il nuovo governo al solo Mussolini, dopo che quest’ultimo rifiutò recisamente di far nascere un gabinetto insieme a Salandra, così da far rientrare il movimento fascista nell’alveo costituzionale.

Ciononostante, e questo passaggio occorre sottolinearlo, il dittatore romagnolo ottenne alla Camera un ampio voto di fiducia con 316 voti a favore, 116 contrari e 7 astenuti. Tra coloro che dettero la fiducia a Mussolini vanno ricordati Giovanni Giolitti, Benedetto Croce, considerato in seguito il massimo rappresentante dell’antifascismo liberale, e persino Alcide De Gasperi, uno dei fondatori dell’attuale Repubblica. Va inoltre segnalato che nel primo esecutivo a direzione fascista, erano presenti liberali e popolari, tra cui il futuro presidente Giovanni Gronchi.

Come si vede, non appena si gratta la crosta delle facili semplificazioni politiche, che da sempre caratterizza una certa sinistra italiana, crolla miseramente la fragile impalcatura ideologica che tende a dividere il mondo tra buoni e cattivi. Cattivi, che in questo caso è altrettanto doveroso ricordare, i quali fino al 10 giugno del 1940, giorno fatidico in cui un irresponsabile Mussolini mandò allo sbaraglio un Paese assolutamente impreparato a condurre una guerra lunga e logorante, dopo che le poche risorse disponibili si erano prosciugate con il sostegno militare dato ai falangisti spagnoli e con l’assurda avventura etiopica,  godevano in Italia di un vastissimo consenso diffuso in tutti gli strati della società.

Tant’è che Winston Churchill così ebbe a scrivere in un suo libro di memorie: “Bizzarro popolo gli italiani. Un giorno 45 milioni di fascisti. Il giorno successivo 45 milioni tra antifascisti e partigiani. Eppure questi 90 milioni di italiani non risultano dai censimenti…”.

Eppure, ancora oggi c’è chi fa politicamente da sponda a chi, usando anche metodi altrettanto violenti e intolleranti di quelli abominevoli utilizzati 100 anni orsono dai fascisti veri, cerca di strumentalizzare un trapassato remoto della storia patria, accostandolo ad un trionfo democratico, quello ottenuto dalla coalizione guidata da Giorgia Meloni, liberamente sostenuto dalla maggioranza una certa degli elettori. Evidentemente ancora a troppi italiani, nostalgici di rinverdire una certa rendita di posizione di natura resistenziale, 100 anni sembrano ancora pochi per voltare definitivamente pagina.

Claudio Romiti, 28 ottobre 2022

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