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Martino: “Ue ed euro? Si ha paura solo a criticarli”

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Intervista di Daniele Capezzone ad Antonio Martino, pubblicta sulla Verità del 18 giugno 2018

Antonio Martino è molte cose, una più rara e preziosa dell’altra in Italia: un autentico gentiluomo, una persona di squisita e sottile ironia, un economista tra i più autorevoli, un liberale, un liberista, un libertario, un euroscettico ante litteram (quando non andava di moda). Tanti avrebbero fatto e farebbero bene ad ascoltarlo di più, dentro e fuori il perimetro dei palazzi romani. Ha accettato di ragionare a tutto campo con La Verità.

Professore, lei è stato in Italia uno dei primi eurocritici, uno dei primi euroscettici liberali.

Il mio primo articolo eurocritico risale al dicembre del 1970: spiegavo perché non mi convinceva il Piano Werner (uno dei primi progetti di unificazione monetaria). Ragionavo sul fatto che mi pareva contraddittorio tenere cambi fissi e politiche monetarie diverse. Lo proposi alla rivista di politica economica della Confindustria. Prima mi dissero che non potevano pubblicarlo (“altrimenti sembra che andiamo contro l’Europa”). Allora premisi la formula: “Sono favorevole all’Europa ma…”. Morale: lo pubblicarono sei mesi dopo, nel giugno del 1971, in caratteri così piccoli da non essere quasi leggibile…

Non si è voluto ascoltare l’euroscetticismo liberale. Ora l’establishment deve “godersi” quello populista.

Io sono stato attaccato appena misi piede in politica, nel 1994. Un giornalista eurofanatico scrisse contro di me, poi le cose furono ripetute in Italia da Fassino e da altri. La verità è che c’è un eurobigottismo che non ha voluto ascoltare gli eurocritici liberali, e ora deve fare i conti con i populisti, molto più aggressivi. Parliamoci chiaro. L’Europa nasceva contro l’abuso della sovranità nazionale, ma poi si è esagerato nel senso opposto, svilendo totalmente la dimensione nazionale. Qui finisce che, per reazione, comincio a diventare sovranista perfino io: per me l’interesse nazionale è un valore.

Cosa non andava nel progetto europeo?

Basterebbe ristudiare la storia. Nel 1954 il Parlamento francese si rifiutò di ratificare il trattato istitutivo della Ced, la Comunità europea di Difesa. Contemporaneamente, in Italia, per il coinvolgimento di suo figlio nella vicenda Montesi, il Ministro degli Esteri Piccioni dovette dimettersi. Allora venne chiamato mio padre, Gaetano Martino, che organizzò la Conferenza di Messina nel 1955. E si convenne (giustamente) che le condizioni non rendevano attuabile l’unificazione politica. Ecco, 70 anni dopo è ancora così: i tempi non sono adatti all’unione politica, perché nessuno vuole rinunciare a una dimensione nazionale forte. E’ bene che gli eurobigotti ne prendano atto.

Facciamo un salto in avanti nel tempo. E cosa non ha funzionato nell’euro? Sia le sue parole sia quelle del suo maestro Milton Friedman sono state sferzanti…

Prima o poi dovrò ripubblicare una corrispondenza tra Friedman e me, anche a seguito di una tesi della mia ultima figlia. L’argomento di Friedman è stringente: il grave errore nella costruzione dell’euro è che “hanno buttato via la chiave”. Si sono dimenticati di dirci cosa fare se non funzionava…

Cioè?

Non è vero che sia impossibile uscirne. Certamente non sarebbe facile. Non è neanche detto che sia desiderabile farlo. Certo, uscendo ci sarebbero due vantaggi: tasso di cambio e politica monetaria nazionale.

Perché quelli che lei chiama eurobigotti hanno reintrodotto il crimine di “blasfemia” verso l’Ue? Non si può nemmeno criticare l’Europa e l’euro?

Si giunge al ridicolo. Conosco Paolo Savona, è scettico per ragioni magari lontanissime dalle mie. Ma ha avuto il coraggio di dirlo apertamente. Altri tacciono perché hanno paura della caccia alle streghe. Il tiranno che ti toglie diritto di parola mi fa paura: ma mi fa ancora più paura chi si priva da sé del diritto di parola per paura dell’opinione avversa.

Che deve fare il Governo italiano al Consiglio europeo di fine mese? È possibile sfruttare le incrinature tra Francia e Germania?

Bisogna usare bene l’amicizia con alcuni dei paesi ritenuti meno importanti ma che sono più numerosi, e – con la forza dei numeri – costringere i paesi più importanti a trattare. Penso a Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Slovacchia: sono paesi, come noi, non favorevoli all’andazzo europeo.

Ma che Europa ci converrebbe?

Una Costituzione seria enumererebbe tassativamente le cose che l’Ue dovrebbe fare, con ciò escludendo tassativamente tutte le altre. Per me potrebbe fare solo tre cose: politica estera, difesa e libertà di commercio. Tutto il resto no, a partire dal Fiscal Compact.

Spostiamoci in America. Cosa pensa della criminalizzazione che tanti fanno, secondo me ingiustamente, di Trump?

Trump non sarà Reagan, ma per sua e nostra fortuna non è neanche Barack Hussein Obama. Ha fatto una riforma fiscale giusta, che sta assicurando tassi di sviluppo elevati, boom in Borsa e disoccupazione bassissima. Ha dialogato con la Corea del Nord, ma dopo averla giustamente trattata con durezza. Ha riconosciuto pienamente Gerusalemme come capitale. Cose ottime. Perfino sul protezionismo (che ovviamente da liberale non mi convince), mi sono persuaso che non voglia una guerra commerciale, ma che la sua sia una mossa tattica per costringere Cina ed Europa a comportarsi correttamente.

Veniamo all’Italia. Diamo un consiglio alla maggioranza sulla flat tax. Lei fu il primo a proporla in Italia.

La misi nel programma di Forza Italia nel 1994, avevo prima invitato Alvin Rabushka, grande sostenitore della flat tax. Lo slogan era: flat tax, low tax, simple tax. Tra l’altro, oltre a rilanciare l’economia, ha un enorme vantaggio: rende meno conveniente l’erosione e l’elusione fiscale (l’evasione è ovviamente un’altra cosa).

E le critiche da sinistra?

Ma come? Il Pd si vanta di aver operato in questo senso per le imprese. E allora perché non anche per le famiglie.

Quindi partire presto e non complicare le cose.

Ma certo! Non si deve temporeggiare, e non si devono fare due aliquote. Salvini aveva detto 15? Si faccia 15%. Perché cambiare idea?

Diamo un altro consiglio al governo e alla maggioranza.

C’è un vero nodo: la spesa. Nessun paese è mai cresciuto se la spesa pubblica supera il 45% del reddito nazionale. Ci sono cose da affrontare: il costo del servizio sanitario nazionale (si arriva a 200 miliardi l’anno!), e poi le Regioni. E non dimentichiamo la scuola: serve il buono scuola, come fattore di competizione e di libertà di scelta.

E cosa la convince meno della maggioranza gialloblu?

Le intenzioni dei Cinquestelle di aggiungere il reddito di cittadinanza alla pletora di spese sociali che già abbiamo.

E le opposizioni? Perché il Pd si è squagliato?

Il Pd è stato colpito da uno tsunami. Renzi gli aveva fatto perdere la vecchia matrice, ma li ha portati su un terreno dove loro non hanno idee nuove. Ora, senza Renzi, non hanno più né il vecchio né il nuovo. Ma la cosa mi preoccupa: perché l’assenza della sinistra comporta l’assenza della destra.

E a Forza Italia e a Silvio Berlusconi che consiglio darebbe?

Se dovessi dargli un consiglio, gli suggerirei calma per un po’ di tempo. Poi di pescare tra i giovani. E di liberarsi del cerchio magico. Se lo cerco, non me lo passano.

 

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