Salute

Nebbia cognitiva, la malattia misteriosa per resuscitare il Covid

Secondo l’analisi della Società Italiana di Neurologia, tra il 20 ed il 30% delle persone soffre di disturbi di memoria dopo il virus

nebbia cognitiva covid

Dopo il famigerato long Covid, in un lungo articolo pubblicato sul Corriere della Sera si scopre l’esistenza della “nebbia cognitiva”, diretta conseguenza del medesimo e molto presunto long Covid, che l’articolista in questione scrive tutto in maiuscolo come per sottolinearne la gravità.

Tutto ciò emergerebbe da uno studio, denominato Neuro-Covid Italy, promosso dalla Società Italiana di Neurologia (Sin) e pubblicato sulla rivista Neurology. L’indagine ha coinvolto 38 unità operative di Neurologia in Italia e nella Repubblica di San Marino ed è durata da marzo 2020 fino a giugno 2021, con successivi controlli fino a dicembre 2021. «Su quasi 53 mila pazienti ospedalizzati per Covid-19, circa 2 mila erano affetti da disturbi neuro-Covid e sono stati seguiti per almeno sei mesi dopo la diagnosi, per analizzare l’evoluzione dei disturbi — precisa Carlo Ferrarese, coordinatore dello studio e direttore della Clinica Neurologica dell’Università di Milano-Bicocca presso la Fondazione Irccs San Gerardo dei Tintori di Monza —. I disturbi neurologici associati all’infezione da Sars-CoV-2, definiti con il termine ‘neuro-Covid’, sono tra gli aspetti più allarmanti, controversi e meno compresi della recente pandemia.”

“Tuttavia, – rassicura Simone Beretta, neurologo presso la Fondazione San Gerardo, primo autore dello studio in oggetto – il quadro che emerge è in parte rassicurante: col passare del tempo i problemi neurologici sono diventati meno frequenti e nella maggioranza dei casi scompaiono, spesso anche in tempi brevi. Un primo dato  importante – precisa il medico – è che i disturbi neuro-Covid sono diventati gradualmente meno frequenti a ogni successiva ondata pandemica, passando da circa l’8% della prima ondata a circa il 3% della terza. Questo indipendentemente dalla severità respiratoria dell’infezione e prima dell’arrivo dei vaccini.” Secondo Beretta, “la ragione più probabile della riduzione sembra quindi legata alle varianti del virus, che passando dalle prime (dalla Wuhan fino alla Delta) lo hanno reso meno pericoloso per il sistema nervoso. Con Omicron e la diffusione dei vaccini, la situazione è poi andata ulteriormente migliorando e i disturbi neuro-Covid sono ora diventati molto rari.”

Ma forse, si potrebbe anche sostenere che, passato da tempo il terrore virale di massa, l’ansia, la depressione e lo stress legato alla paura di finire intubati, sia svanito l’effetto suggestivo che ha paralizzato per anni milioni di nostri concittadini, per molti dei quali solo il fatto di azzardarsi ad uscire di casa rappresentava una impresa ad alto rischio. Tant’è che traccia di questo sospetto emerge dallo stesso articolo, nel paragrafo in cui si affronta la questione nodale dei riscontri oggettivi della presunta nebbia cognitiva, che gli anglosassoni chiamano brain fog. Affronta l’argomento Valentina Di Mattei, coordinatrice del Servizio di Psicologia Clinica della Salute dell’Ospedale San Raffaele di Milano.

“Quando si parla  di disturbi cognitivi post Covid – spiega la psicologa – non va dimenticato che essi possono intrecciarsi ad altri disagi sperimentati da molte persone durante e dopo la pandemia: ansia, depressione e stress si sono spesso aggravati in chi già soffriva di disturbi psichiatrici, creando un «circolo vizioso» con l’insonnia. Arrivare a una diagnosi – sottolinea – è quindi tanto importante quanto complicato, anche in considerazione del fatto che i disturbi possono essere molti e intersecarsi fra loro. Serve dunque un’attenta valutazione, che non può prescindere sia dalla storia clinica del paziente che ha avuto il Covid sia dalla sua condizione psicologica precedente l’infezione virale”. Ma quando poi, Vera Martinella, autrice del pezzo, affronta in chiusura l’aspetto delle cure per questa misteriosa nebbia cognitiva, entriamo direttamente nel teatro dell’assurdo.

A parlare è Alberto Priori, direttore della Scuola di Specializzazione in Neurologia e della Clinica Neurologica dell’Università degli Studi di Milano presso il Polo Universitario San Paolo. A suo dire “una volta identificato il problema, la cura viene prescritta dal neurologo, dallo psicologo o dallo psichiatra in base al caso specifico.” Ansia, depressione, traumi, insonnia, disturbi cognitivi e neurologici vengono insomma curati in modo tradizionale, seguendo gli stessi criteri nei pazienti con sindrome Long Covid e in tutti gli altri che soffrono di questi problemi indipendentemente dall’infezione. In particolare per la nebbia cognitiva, ricercatori e medici si stanno rivolgendo principalmente a trattamenti sviluppati per ictus e lesioni cerebrali traumatiche, come anche a videogiochi che permettano di svolgere un allenamento cognitivo che sia applicabile su larga scala. Dopo una lesione cerebrale, la riabilitazione cognitiva in genere comporta test per identificare i deficit cognitivi che impediscono di svolgere le attività quotidiane: spesso l’obiettivo è compensare i deficit, non eliminarli.”

Insomma, secondo quest’ultimo luminare tali disturbi cognitivi da post Covid sarebbero paragonabili ad ictus e lesioni cerebrali traumatiche, tanto è vero che si può sperare di attenuarli ma non eliminarli del tutto. Ma la nostra speranza e quella dei tanti paranoici virali di questo disgraziato Paese è che con un corso accelerato di videogiochi si riesca a compiere il miracolo di uscire dall’incubo della nebbia cognitiva. Nebbia cognitiva che però, quando riguarda buona parte della nostra informazione dedita al terrorismo di massa, sembra refrattaria ad ogni terapia fondata sul buon senso.

Claudio Romiti, 12 dicembre 2023

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