Negli Usa le “donne dell’anno” sono uomini

Dalla segretaria alla Salute, Rachel Levine, alla transnuotatrice Lia Thomas. In America trionfa la retorica gender

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No ma è giusto. È troppo giusto, chi siamo noi per dire la nostra? Il mondo va avanti, compagni, tutto si fa sfumato, opinabile, la realtà è immaginazione, la verità è fluida e così ci può stare che in America venga eletta donna dell’anno un maschio. Un ex maschio. Una uoma. Trattasi della segretaria alla Salute, Rachel Levine, che da non femmina poteva anche essere considerato lievemente sovrappeso, ma adesso, alleggerita del sesso, è perfetta e, con la levità di una farfalla, ci spiega bene che: “È solo una conferma in più che le persone trans hanno tanto da offrire quanto chiunque altro nella nostra società e che diverse opportunità devono davvero verificarsi per le persone con esperienza trans, in modo che quando ci viene data l’opportunità di brillare possiamo”.

Non vuole dire assolutamente niente, in ogni modo: brava! Bene! Ci pareva ormai indiscutibile che chiunque potesse essere insignito di un premio, senza tante menate, ma la retorica gender è funzionale e va assorbita, insegnata nelle scuole, infilata dappertutto, anche nella caffellatta. E anche nella piscina: la transnuotatrice Lia Thomas, nata Will, da maschio era un po’ una schiappa, ha profittato del lockdown pandemico globale per ritoccarsi e, diventata Lia, straccia tutte le avversarie. Per forza, è il doppio di loro. Le avversarie, essendo misogine, non ci stanno e contestano il “vantaggio ormonale”: grazie al cazzo, si potrebbe chiosare. Ma sono solo delle stronze, pure invidiose. Non hanno le palle. Non capiscono che anche basta con questi cavilli, uno è quel che si sente, quando si sente, dove si sente. Se si fa un viaggio, all’andata si può andare nel bagno dei maschi, al ritorno in quello delle femmine.

Anche l’anagrafe è superata, è sessista, chi se ne frega dei documenti, tanto ci sarà l’Id-Pay. La carta d’identità si dovrebbe fare cangiante, clicchi su “aggiorna” e cambia a seconda del sentire, eh, che sarà mai? Io appena alzata potrò pure sentirmi una vittima del maschio narcisista patologico e poi, ascolta, si fa sera, e a sera divento un frate trappista o magari proprio un maschio patologico. Beh? Che c’è? A pois, a pois, a pois. Chi siete voi per dire la vostra? Del resto, se Scanzi, la Murgia e Saviano si sentono scrittori, se Vasco si sente rockstar… Io, per esempio, attualmente mi sento tanto cockstar, e nessuno può dirmi niente.

Anche Tyson, ha perso delle occasioni, dopo la prima fase in cui massacrava tutti e l’hanno carcerato per stupro di una fanciulla indifesa, quando è tornato non era più lo stesso: se metteva a puntino quei tre anni di galera, usciva Michelle Tyson e tritava tutte le pugilesse, no? Ma quale vantaggio ormonale, ma scusate: le atlete del blocco dell’Est non sono sempre state bombate da ridurle dei bufali cafri? Ne ricordo una, una sovietica, alle Olimpiadi di Mosca del 1980, quelle boicottate dai soliti guerrafondai Nato: una velocista, quando partiva altro che turbo, le ali ai piedi le spuntavano, come Mercurio, anzi Mercuria, e arrivava che le altre ancora uscivano dai blocchi. Bochina, si chiamava.

Uno, meglio: una, meglio ancora. Un* deve sentirsi quello che è quando vuole. Nietzchianamente, arrivare ad essere chi è. Almeno per i prossimi dieci minuti. Io, per esempio, quando ho cominciato a scrivere questo indegno articolo transfobico mi sentivo un vecchio cronista alcolizzato, ma già a metà mi ero trasformato in un couturier, come Valentino, e adesso che sono alla chiusa già mi sento uno Zar liberatore. Domani mi sentirò una étoile, una amazzone e una pornostar. Tra un mese un ricco riccone. Quindi il mutuo, le bollette, la benzina li pagherò tra un mese. Sempre che nel frattempo non mi riscopra un fachiro, una eroina dei fumetti, una maschia dell’anno.

Max Del Papa, 20 marzo 2022

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