Giustizia

No, Fratelli d’Italia non vuole abolire la tortura

Presentata ieri la proposta di legge di Fratelli d’Italia contro il reato, ma la tortura non scompare dal nostro ordinamento

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È stata una pioggia di critiche la giornata di ieri, sia per il governo che per la coalizione di centrodestra. Prima, Anpi e sinistra si sono sollevate contro Giorgia Meloni sul suo presunto tentativo di minimizzare la tragedia delle Fosse Ardeatine; poi è stata una proposta di legge di Fratelli d’Italia a scatenare l’ira delle opposizioni: quella relativa alla presunta abolizione della tortura.

Il reato è stato introdotto nell’ordinamento giuridico sei anni fa, nel 2017, agli articoli 613-bis e 613-ter del codice penale, dopo la sanzione del 2015 della Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti dell’Italia “per la mancanza di adeguate ed efficaci misure di prevenzione e repressione delle condotte di tortura, contrarie all’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo”, in riferimento ai fatti del G8 di Genova del 2001.

La prima firmataria della proposta di legge è la deputata Imma Vietri, che sostiene l’abolizione del reato a causa dell’incertezza applicativa in cui potrebbe trovarsi l’interprete. Quest’ultima, infatti, “rischia di comportare la pericolosa attrazione, nella nuova fattispecie penale, di tutte le condotte dei soggetti preposti all’applicazione della legge, in particolare del personale delle forze di polizia che per l’esercizio delle proprie funzioni – spiegano i firmatari nella relazione della Pdl – è autorizzato a ricorrere legittimamente anche a mezzi di coazione fisica”.

Anche per il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, la norma è contraria al principio di stretta legalità. “La proposta di legge di Fratelli d’Italia per la revisione dell’attuale previsione normativa sul reato di tortura va nella giusta direzione e chi fa polemiche politiche strumentali, dopo avere assestato colpi mortali alla sicurezza delle carceri con l’introduzione della vigilanza dinamica e la chiusura di carceri, Provveditorati regionali e Centrali operative della Polizia Penitenziaria, non perde occasione per seminare demagogia e falsità”, ha affermato Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, che prosegue: “L’attuale formulazione del reato di tortura contravviene allo scopo della convenzione Onu del 1984. Mettendo a confronto la previsione della convenzione e quella del codice penale italiano emergono divergenze che ne hanno snaturato il fine, a vantaggio di una malcelata esigenza di soddisfare pressioni ideologiche del partito dell’antipolizia”. E ancora: “Il fine doveva essere quello di punire soprattutto chi estorce confessioni o intende punire qualcuno con la violenza, oggi, invece, si punisce col reato di tortura ciò che era già punito con i reati di lesione e percosse. Quindi, bene l’iniziativa di Fratelli D’Italia che riconduce la fattispecie nell’alveo che le è proprio: quello della convenzione Onu”.

Sulla stessa linea è anche Giuseppe Tiani, segretario generale del Siap (Sindacato Italiano Appartenenti Polizia): “Spiace dover constatare come, anche su questo tema, l’opposizione parlamentare abbia assunto posizioni ideologicamente pregiudiziali, in cui il tema della sicurezza non viene percepito quale diritto primario delle comunità e di ogni cittadino, ma sia invece utilizzato come clava nel quotidiano scontro politico con la maggioranza”.

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La ratio dell’abrogazione, quindi, andrebbe a coprire una maggiore tutela per le forze dell’ordine, in particolare per gli agenti di polizia penitenziaria, che rischiano quotidianamente “denunce per tale reato, a causa delle condizioni di invivibilità delle carceri e della mancanza di spazi detentivi, con conseguenze penali molto gravi e totalmente sproporzionate”, continuano i firmatari della proposta di legge. A ciò, si affianca anche una “sproporzione” della pena rispetto ad altri reati che prevedono tale condotta, quali per esempio lesioni o percosse, oltre ad un rischio che possano finire “nelle maglie del reato in esame comportamenti chiaramente estranei al suo ambito d’applicazione classico, tra cui un rigoroso uso della forza da parte della polizia, durante un arresto o in operazioni di ordine pubblico”.

L’obiettivo, però, non sarebbe quello di abrogare in toto la tortura, ma sostituire le due fattispecie ex art 613bis e 613ter del codice penale con l’aggiunta di una nuova aggravante, proprio per adempiere agli obblighi di diritto internazionale. In sostanza, la tortura rimarrebbe all’interno del nostro ordinamento, ma non nell’attuale forma di una fattispecie autonoma, dove si potrebbe fare un uso generico del reato, come sostenuto dai firmatari di Fratelli d’Italia, ma con la presenza di una semplice aggravante. Quest’ultima confluirebbe nel campo delle aggravanti comuni, disciplinate dall’art. 61 codice penale, in cui si menziona anche “l’avere adoperato sevizie, o l’aver agito con crudeltà verso le persone”, oppure “l’aver commesso il fatto con abuso dei poteri, o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio”.

Nonostante il governo Meloni non voglia abolire in toto la tortura, sin dalla giornata di ieri si sono scagliate contro le opposizioni, in particolare Ilaria Cucchi. “Abbiamo lottato per l’introduzione (della tortura) e ora rivolgo un appello a tutte le forze politiche, soprattutto al Presidente della Repubblica: giù le mani dalla legge che la punisce. Chi ha paura del reato di tortura legittima la tortura”.

Matteo Milanesi, 25 marzo 2023

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