Nuovo Dpcm. Colpa del centrodestra e delle Regioni

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Strano Paese, il nostro, in cui la colpa di quel che non va è sempre del centrodestra. Sia che governi, sia che stia all’opposizione. Tanto che, in un momento in cui il mini lockdown, imposto dal nuovo Dpcm, certifica il fallimento dell’esecutivo, il capo dello Stato soccorre i giallorossi. Fa “moral suasion”. Richiama i presidenti di Regione. Si scaglia contro gli “egoismi e i particolarismi”. Certo: perché se Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi non fanno da stampelle al Conte bis, sono egoisti. Andatevi a guardare i tweet dei Graziano Delrio o degli Andrea Orlando. Il tono è quello: il centrodestra non china il capo, come potevamo coinvolgerlo?

Ma ecco che il premier, alle corde, tira fuori le “cabine di regia”. Tutto pur di evitare il Parlamento. Ed ecco che il commissario Domenico Arcuri punta il dito sulle Regioni: noi i respiratori li abbiamo mandati, loro non li hanno attivati! Eh già. Chi li fa funzionare, però? I neolaurati? E in quali strutture? Accanto a quali posti letto? Quelli che Arcuri ha iniziato ad allestire a ottobre? Mettiamoci d’accordo: o abbiamo scoperto all’improvviso che siamo una Repubblica federale e, allora, le Regioni devono gestire i soldi e prendere le decisioni. Oppure ci atteniamo alla Costituzione, che all’articolo 117, lettera q, attribuisce esclusivamente allo Stato la “profilassi internazionale”.

Facile obiettare: be’, i governatori, in primavera, s’erano lamentati perché Palazzo Chigi li aveva spodestati. Ora che possono tornare protagonisti, perché chiedono provvedimenti uniformi per tutta la nazione? Perché si definiscono esautorati?

Sì, forse sono incoerenti. O forse è Giuseppe Conte, l’uomo che sussurra ai sondaggi – che ora lo danno in caduta libera – a voler fare il furbo. E ad aver agito al contrario di ciò che suggeriva la logica: a marzo, quando in mezzo Paese il virus non circolava, però lui poteva trarre vantaggio dal piglio di comandante in capo, tenne aperta la Bergamasca che il Cts lo implorava di serrare, per poi chiudere l’intero Paese. Adesso, il Covid dilaga ovunque. Ma lui ha paura del lockdown duro. E allora s’inventa le tre zone, i tre colori, il coprifuoco totale, i blocchi agli spostamenti locali, le strade e le piazze da interdire a discrezione dei sindaci. I quali, però, non hanno risorse economiche aggiuntive: gli oneri senza gli onori e, soprattutto, senza i denari. Roma, a ristori i completi, vorrebbe far ingoiare solo agli amministratori locali la patata bollente, sperando di dirottare contro di loro il malcontento.

Come finirà? Molto probabilmente, con il lockdown in piena regola. In ritardo. Così, anziché “salvare il Natale”, scopriremo che abbiamo perso tempo con le titubanze di Conte, le liti di maggioranza, le accuse all’opposizione. I contagi continueranno a galoppare. Gli ospedali resteranno a combattere ad armi impari. E, come vaticinava Andrea Crisanti, Jingle bells lo canteremo dai balconi.

Alessandro Rico, 4 novembre 2020

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