Politica

Odio Giorgia ergo sum (di sinistra)

Il direttore del museo di Ostuni pubblica la foto di Meloni a testa in giù e poi si dissocia da se stesso. Che senso ha?

Luca Dell’Atti ostuni meloni

A questo punto la questione, come si andrà a dimostrare scendendo pochi scalini di righe, non è più politica o teppistica: ma psicanalitica. C’è dunque questo direttor* del Museo delle Civiltà Preclassiche della Murgia Meridionale di Ostuni provincia di Brindisi, e se riuscite a declinarlo tuttodunfiato siete dei supereroi gender, se ci aggiungete pure che è collegato col locale Museo Diocesano (del quale sarebbe gradita la dissociazione, ma in un clero in-Zuppi-to in Bergoglio non arriverà), siete dei draghi. Dei drag. Quello che vi pare.

Insomma ecco questo direttore, che è un bel direttore!, questo Luca dell’Atti, insediato due mesi fa, che giustamente cerca benemerenze e che ti fa? Ma figurati: l’originalissima, sorprendente, irriverente, democratica foto di Io sono Giorgia a testa in giù. Come un liceale in fregola o uno dei centro sociali in frega. Io, punto da curiosità quasi femminile, ci sono andato a cercarmi questo bel direttore Dell’Atti, e effettivamente ho trovato l’identikit che mi aspettavo. Tutto regolare, tutto secondo agenda della sinistra che, come nel delizioso pamphlet di Giovanni Sallusti, finisce per far rimpiangere i comunisti trinariciuti, che almeno il terzo sfiato lo usavano per la propaganda di partito. Oggi per quella dipartita, uscita dalla linea, dalla rotta, è tutto un parole parole parole o meglio cazzate in libertà.

Qui si arriva alla questione non gramsciana, non meridionale, ma direttamente psicanalitica. Non, sia chiaro, per la solita foto rovesciata, roba da complesso edipico o di infantilizzazione o da psicologia inversa, o malattia rimbambile del post marxismo che si voglia; uno alla fine è quello che si sente di essere, se si percepisce direttor* antagonista, buon per lui. No, qui la faccenda allarma, e seduce, per via che c’è uno, che comunque nell’età della ragione bene o male deve pur starci, se dirige un museo, una istituzione, uno che, mentre fa una cosa, spiega già che non la voleva fare, insomma cova idee che non condivide, però le passa dal pensiero all’azione, mazzinianamente.

Io metto un insulto potente, tra l’altro in occasione della presenza del presidente del Consiglio alla commemorazione per la Giornata delle Foibe, con il che spunta fuori la aromatica anima titina: manco ho finito di postarlo che parto col pippone, ma no, ma cosa credete, io sono nonviolento da otto generazioni, come il nocino, un pacifista distillato, “la mia storia e quella della mia famiglia parlano per me”. E non si accorge che così facendo peggiora la situazione. Ma insomma, dell’Atti, osceni o dolosi non ci interessa, però tu che vuoi dalla vita nostra? Ma possibile che tu faccia una roba tanto meschina, tanto da trapper della cultura, desolante, immatura, e allo stesso tempo protesti contro il mondo che non volevi farla?

Scusi, sa: lei sarà anche un bel direttor*, ma con chi cazz* se la sta pigliando? A chi parla? A lei, a “loro”, come Demi Lovato, allo specchio? E insomma, alla fine di tutto: perché lo fai? Per dare testimonianza, per ribadire un ruolo, per mandare messaggi, per campagna elettorale, qui tutti sono sempre, perennemente in campagna elettorale e, appena avvitate le chiappe su una poltrona, già stanno pensando alla prossima, possibilmente più morbida, più imbottita? Allora qua forse abbiamo uno che cerca benemerenze e però si dissocia non da quanto ha appena fatto, ma da quanto sta tuttora facendo. A meno che.

A meno che non sia tutta una manfrina, come in effetti è. Perché il direttor* della situazione è uno che: adesso fa una roba offensiva, al limite della minaccia (non scomodiamo il vilipendio, che è roba ottocentesca); mentre la fa si rammarica; due minuti dopo è già lì – vedrete, vedrete – che la rivendica, dando dei fascisti e dei maiali a chi si offende o appena si turba. Lo schema è questo, ed è consolidato come il catenaccio di Nereo Rocco: non tradisce mai. Per questa strada – ti conosco, mascherina! – si punta alle candidature, insomma si parte dal Museo delle Civiltà Preclassiche eccetera e si arriva, o almeno si sogna, ai cieli alti di Bruxelles, catapultati da una che va a caccia di candidati come Diogender col lanternino: Big Mama, Papa Gino Cecchettin (no, ma ha smentito, forse), Ghali nel Pollhaio, Savianoh, Berizzih, perché no Geolier. Dai, dell’Atti impuri, che qui abbiamo fatto tutti il militare a Cuneo! Solo che.

Solo che se io, faccio per dire, mi diverto a mettere una foto di Elly appesa per il naso, o per i denti, o per altri caratteri sessuali armocromatici, ho qualche dubbio che la cosa passi così in souplesse, a sinistra, e di più ne ho sul fatto che mi basti definirmi da solo un dissociato, uno che fa qualcosa che non vuole fare, senza che nessuno gliel’abbia chiesto, senonché “la mia storia parla per me”. A volte è proprio questo, il guaio. Dell’Atti, parlando seriamente, non dovrebbe nascondesi dietro i braccioli della poltrona, non dovrebbe giocar di vittimismo sulle fatali proteste di Fratelli d’Italia: dovrebbe togliere il disturbo lui, da solo, con un frullo di decenza, per fattori oggettivi. Discrezionali. Psicanalitici. Dovrebbe. Invece, vedrete, farà carriera.

Max Del Papa, 13 febbraio 2024

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