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“Mi mancano i vecchi comunisti” – Giovanni Sallusti

mi mancano i vecchi comunisti

Pubblichiamo un estratto del libro “Mi mancano i vecchi comunisti” scritto da Giovanni Sallusti e pubblicato da Liberilibri


“Non proponiamo una ricostruzione della nostra economia secondo princìpi comunisti o socialisti. (…) Noi diciamo che occorre un «nuovo corso» di economia e di politica economica. Ci si accusa, quando parliamo di questo «nuovo corso», di voler sopprimere l’iniziativa privata; ma la cosa non è vera. Noi vogliamo che venga lasciato un ampio campo allo sviluppo dell’iniziativa privata, soprattutto del piccolo e medio imprenditore”.

Sorpresa: è farina del sacco del Migliore, al secolo Togliatti Palmiro, uomo di Stalin in Italia, anno del Signore 1946. Certo, l’occasione, il momento storico, lo scopo politicamente obliquo, sono particolari, e spiegano l’accelerazione produttivista e fin “aziendalista” svolta in quella sede dal capo indiscusso del Partito Comunista. Ma non sono parole che esauriscono la loro funzione in un comizio di giornata, daranno corpo a una linea politica e fin a un modello amministrativo (tra l’altro, il modello alternativo allo schleinismo regressivo attuale).

Partiamo, però, da quel 24 settembre 1946 in cui, al teatro municipale di Reggio Emilia, Togliatti tenne il clamoroso discorso su “Ceto medio ed Emilia rossa”. È un discorso di cui è impossibile sopravvalutare l’importanza storica, perché si può considerare il momento di battesimo di un sottofilone, quasi di un partito nel partito, che porterà avanti il tratto produttivista del Vecchio Comunista nella quotidianità, senza complessi, nella “verità effettuale della cosa” rispetto all’ “immaginazione” di essa che dominava il Politburo (per dirla con Machiavelli), pure nell’articolazione concreta di reti di potere locali, certo, e con modalità parecchio disinvolte, ma anche perché libero da ipoteche ideologiche e gabbie dottrinali.

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La storiografia spesso amica lo chiamerà con più di una punta di trionfalismo “modello emiliano”, sta di fatto che lì, nell’Emilia Romagna tanto rossa quanto produttiva andò in scena un classico caso di doppia verità comunista. Quella per cui alle concessioni assolutiste contro il capitalismo nella retorica corrispondeva, nella effettiva pratica amministrativa adottata nella regione più importante tra quelle governate dal Pci, una modalità specifica di frequentazione (e perfino di teorizzazione) del capitalismo da parte del Vecchio Comunista. Una concezione atipica, ovviamente, perché perennemente in bilico sul principio di non contraddizione, imperniata su un protagonismo pervasivo dello Stato, sul tentativo di un interclassismo alternativo a quello democristiano spesso semplicistico e posticcio, sul ruolo via via più centrale del sistema cooperativistico che traslava nel cosmo dell’impresa le procedure e le priorità del Partito.

È pleonastico dirlo, non è la visione del capitalismo di chi scrive, per il quale quelli togliattiani sono tutti sofismi dirigisti che del capitalismo smarriscono l’essenza, ovvero la libertà. E tuttavia, un altro capitalismo, per quanto fallace, non è un altro mondo, non è nessuna utopia regressiva, a emissioni zero, terzomondista. Il tema è che, e detto dal capo del Pci nel 1946 è spiazzante tutt’oggi, “l’iniziativa privata è sana”. Qualunque membro pettinato e Woke della segreteria Schlein (dove non a caso non figurano esponenti della vecchia Ditta) farebbe una fatica dannata a sottoscrivere quest’affermazione, nell’anno 2023.

(…) Quel giorno a Reggio Emilia Togliatti inaugura un approccio specificamente comunista al tema, di più, all’urgenza, del ceto medio. “Appartiene al ceto medio il piccolo e medio proprietario, che possiede la terra che coltiva. Vi sono poi i gruppi intermedi cittadini, essi pure assai variati, dai commercianti piccoli e medi agli esercenti, agli artigiani, agli imprenditori di piccole e medie aziende”. Ebbene, e davvero ogni sillaba che segue costituisce un monumento all’intelligenza politica del Vecchio Comunista, “è errato affermare che esista una specie di incompatibilità organica tra tutti questi gruppi sociali, così numerosi e così vari, e il Partito Comunista”. Coloro che oggi il Pd ha espulso dal suo discorso, che guarda con sospetto se non addita espressamente come “evasori”, insomma i combattenti quotidiani nella trincea dell’economia reale, erano nel primissimo Dopoguerra interlocutori privilegiati per il Pci. Di più, erano un asse portante di quel “patto tra produttori” che Togliatti aveva lanciato sulle colonne de L’Unità già in agosto, un mese prima del discorso reggiano, come proposta qualificante della politica economica comunista.

Giovanni Sallusti, 4 febbraio 2024

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