Il 18 aprile 2025 la Corte d’Assise d’Appello di Bologna ha emesso la sentenza sul caso dell’omicidio di Saman Abbas, la giovane 18enne pachistana uccisa tra il 30 aprile e il primo maggio 2021 a Novellara, in provincia di Reggio Emilia. La Corte ha confermato l’ergastolo per i genitori, Shabbar Abbas e Nazia Shaheen, già condannati in primo grado. Condanna a vita anche per i due cugini, Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq, precedentemente assolti. Lo zio Danish Hasnain, già condannato a 14 anni, ha visto la sua pena aumentata a 22 anni.
Le motivazioni della sentenza
La sentenza ha riconosciuto le aggravanti di premeditazione, motivi abietti e futili. La Corte ha accolto, seppur parzialmente, le richieste della Procura generale. Quest’ultima aveva chiesto l’ergastolo con un anno di isolamento diurno per tutti i cinque imputati. La sostituta procuratrice generale Silvia Marzocchi aveva descritto il delitto come “un’azione inumana e barbara” ordinata da tutta la famiglia. Anche se nessuno ha confessato, le accuse si basano su indizi, testimonianze e accertamenti peritali.
Il tragico evento
Saman Abbas è stata assassinata nella notte tra il 30 aprile e il primo maggio 2021. La ragazza si opponeva a un matrimonio forzato, scelto dai suoi genitori. Il suo corpo venne ritrovato un anno e mezzo dopo, interrato in una buca di tre metri vicino alla casa di famiglia. Testimonianze e video mostrano i familiari con pale il giorno prima del delitto, elemento utilizzato dall’accusa come prova chiave per dimostrare la premeditazione.
Gli imputati e il loro comportamento durante il processo
Durante le udienze, gli imputati si sono accusati a vicenda. Lo zio Danish Hasnain, indicato come esecutore materiale dal fratello di Saman, ha sempre negato il suo coinvolgimento diretto nel delitto. I due cugini, inizialmente assolti, sono stati ritenuti parte attiva nell’occultamento del corpo. I genitori hanno negato responsibilità, piangendo, e addossando le colpe agli altri. Gli avvocati difensori hanno ribadito la mancanza di un testimone oculare e la natura indiziaria del processo.
Il contesto familiare e culturale
Saman era arrivata in Italia nel 2016 con la sua famiglia. La sua battaglia per vivere liberamente, anche contro le rigide tradizioni culturali, le è stata fatale. Si faceva chiamare “Italiangirl” sui social e sognava di costruire una vita autonoma, lontana da imposizioni. Questo caso ha scosso l’opinione pubblica e riaperto il dibattito su temi come i matrimoni forzati e la violenza di genere in Italia.
Un processo e una sentenza senza precedenti
La madre e il padre di Saman sono stati estradati dal Pakistan, una procedura considerata storica, poiché è la prima volta che il Paese asiatico consegna cittadini accusati di crimini alla giustizia italiana. Questo elemento, unito alla durezza della sentenza, ha acceso un forte segnale nel contrasto a crimini simili. Le motivazioni complete della sentenza saranno rese pubbliche entro 90 giorni.