Esteri

La sfida negli Usa

Ora Trump può tornare

trump © valentynsemenov tramite Canva.com

Dopo l’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021, anche i simpatizzanti di Trump capirono che era finita, Trump non sarebbe più stato candidato, e men che meno avrebbe potuto avere la minima possibilità di vincere.

Oggi non è più così, Trump può tornare.

Manca un anno alle elezioni presidenziali Usa, e tutto può succedere, ma la campagna elettorale è già iniziata e ci sono alcuni punti fermi da tenere a mente. Innanzitutto, il candidato repubblicano sarà molto probabilmente Trump. Tra i repubblicani non mancano figure di grande capacità e carisma, a partire dall’ex segretario di stato Mike Pompeo, al governatore della Florida Ron de Santis, all’ex rappresentante all’ONU Nikki Haley, ma nessuno di loro è riuscito a scalfire il mito personale che rende Trump dominante in tutti i sondaggi. Per questo motivo è più che probabile che Trump vincerà le primarie repubblicane e sarà candidato presidente.

Inoltre, un sondaggio molto serio condotto dal New York Times e la Siena University dà Trump in vantaggio in 5 stati chiave. Ricordiamo che negli USA non conta la maggioranza assoluta dei voti, un candidato presidente deve conquistare i singoli stati a cui, a seconda della popolosità, corrisponde un numero di “grandi elettori”. Il destino delle elezioni è quindi nelle mani di poche decine di migliaia di cittadini di Pennsylvania, Arizona, Georgia, Nevada e Michigan, tutti stati conquistati da Biden nel 2021, e dove, se si votasse oggi, vincerebbe Trump.

Infine, un segnale di allarme per i democratici, di grande importanza simbolica, viene da New York. Nelle elezioni per il consiglio comunale della settimana scorsa, il 13° distretto del Bronx, enorme, ricco di immigrati e afroamericani, incarnazione del melting-pot culturale della città, è stato vinto dalla candidata repubblicana, dopo 20 anni di vittorie dei democratici. Insieme alla maggioranza ottenuta da De Santis nella “ZTL” di Miami l’anno scorso, questo risultato indica che le roccaforti democratiche possono essere scalfite, soprattutto se si affrontano con pragmatismo temi come la sicurezza, un tabu per i progressisti di tutto il mondo.

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Tutto ciò non significa che Trump abbia la vittoria in tasca, ma indica che sia lui che Biden dovranno lottare come leoni, e la vittoria non è scontata né da una parte né dall’altra. Trump è divisivo anche tra i repubblicani, e se alcuni suoi processi si mettessero male nei prossimi mesi potrebbe vedersi scaricato dal suo partito. Inoltre, in un recente referendum, l’Ohio (uno stato piuttosto conservatore) ha approvato l’aborto come diritto costituzionale, ad indicare che una lotta contro i diritti civili per accontentare la base religiosa repubblicana porterebbe più danni che benefici. In politica estera nessuno crede più che l’“America First”, cioè il ritiro degli USA dal mondo (questo era un punto di contatto con Obama), sia più spendibile, visti i fronti aperti in Ucraina e Medio Oriente.

Sebbene negli USA lo stato sia più forte della politica e le elezioni presidenziali siano solitamente seguite con più trasporto da noi italiani che dagli americani stessi, se Trump sarà candidato ci toccherà assistere ad una campagna elettorale all’“Italiana”, dove alla fine ognuno voterà non per vedere trionfare il candidato che ama, ma per sconfiggere quello che odia. Sarà come all’inizio degli anni 2000, quando Berlusconi era sostenuto dal suo elettorato a prescindere dai processi che gli piovevano addosso, e dall’altro lato si era disposti a votare la più improbabile accozzaglia pur di sconfiggere l’Anticristo.

Pietro Molteni, 17 novembre 2023

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