Orazione funebre per il governo populista

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La fregola, che è un po’ di tutti, d’avere un altro governo sta facendo passare in secondo, terzo, quarto piano un aspetto fondamentale di questa crisi politico-istituzionale: non è caduto un governo qualsiasi ma nientemeno che l’esecutivo che si era auto-definito “governo del Cambiamento”. Il carattere principale di questo governo, che aveva messo sotto contratto il professor Giuseppe Conte affidandogli la carica di presidente del Consiglio virtuale, era il populismo. La fine del governo Conte è la certificazione del fallimento del populismo. Il problema italiano oggi è senza dubbio quello d’avere un governo, ma non quello d’avere un nuovo governo populista. E’ necessario, dunque, prendere le mosse da questo fallimento, altrimenti si inganna e ci si inganna.

Prima di tutto il governo è in crisi ma non è ancora caduto. E’ ancora lì in una situazione grottesca: il ministro dell’Interno, capo politico della Lega, ha presentato una mozione di sfiducia per il governo di cui lui, con gli altri ministri leghisti, fa ancora parte. Allora, diciamo che se il governo non è caduto, cadrà. Fatto sta che, come i defunti che ancora non sono stati accompagnati al camposanto, il governo è tra noi e deve ancora essere sepolto. E’ il caso che il governo che ha fatto del populismo la sua bandiera sia sepolto bene, con tutti gli onori, con una bella orazione funebre. Perché – e faremmo bene a non dimenticarlo rapidamente –  il governo voluto fortemente dal M5s e dalla Lega si è presentato come il sale della terra, l’inizio della storia, la rinascita nazionale, la fine della crisi economica, la trasformazione dell’Europa, la fine addirittura della povertà, insomma, come un nuovo sole e una diversa e migliore “rivoluzione copernicana”, tanto che Luigi Di Maio ebbe a dire che nasceva la Terza repubblica. Eppure, questo governo così diverso moralmente e politicamente dal resto dell’umanità è caduto in maniera tragicomica dopo un anno. Perché? Perché  – si dice, come ha detto lo stesso professor Conte con una sua dichiarazione velenosa e livorosa in un’anomala conferenza stampa –  Matteo Salvini ha staccato la spina per poter capitalizzare il grande consenso elettorale che gli è attribuito dai sondaggi. No, questa è una favoletta o, se volete, è un effetto ma non la causa della fine del governo populista.

Il governo populista è entrato in crisi perché ha portato l’Italia alla stagnazione economica e ad un passo dalla recessione. E’ entrato in crisi perché con la prima legge di Bilancio ha scavato la fossa al Paese e con la seconda  – per fortuna –  non ha avuto l’incoscienza di calarcelo. E’ entrato in crisi perché tutte le contraddizioni, le incongruenze e gli infantilismi dell’anno di governo bellissimo (tanto per parafrasare il professor Conte) sono diventati insostenibili. La sceneggiata fatta dal M5s al Senato in occasione della mozione presentata contro la Tav  – è un’abitudine dei partiti di questo governo quella di presentare mozioni contro il governo –  ha prima spaccato l’esecutivo e poi lo ha lasciato senza partito di maggioranza relativa. Così Salvini ha preso la palla al balzo per capovolgere il famoso detto di Giulio Andreotti: meglio tirare le cuoia che tirare a campare. E’ un calcolo, non c’è dubbio, come del resto tutto è calcolo in politica. Ma è un calcolo che finisce qui. Perché il fallimento del governo populista è anche il fallimento di Salvini al governo. Lo voglia o no.

Ora l’ancora ministro dell’Interno sostiene che con i No  – i no del M5S –  non si governa e ci dice che l’Italia ha bisogno di Sì. Vero. Ma quei No ci sono sempre stati e con quei No non solo si è fatto un governo ma addirittura si è firmato un contratto. Non basta lasciare quei No per avere il diritto a governare in splendida solitudine (i famosi “pieni poteri”). Si aggiunga, poi, che i sondaggi che danno la Lega con il vento in poppa sono, appunto, sondaggi che se si trasformassero in realtà comunque non darebbero a Salvini, per sua fortuna, la maggioranza assoluta. Ecco allora che Salvini deve seriamente capire cosa vuole fare da grande: il populismo, anche il suo populismo, ha condotto il Paese ad un passo dalla bancarotta e solo l’intervento dell’Europa, che ha costretto l’esecutivo a una correzione dei conti, ha evitato il peggio. La strada del far debito per risanare il debito è fallita, come è fallita la via della creazione del partito unico populista. Nonostante la crescita sondaggistica della Lega, il centrodestra è ancora l’unico orizzonte politico valido che permette all’Italia di ringiovanire. La fine del governo populista può e deve avere questo assestamento: la nuova creazione di due poli a destra e a sinistra che abbiano al loro interno una componente che ancori gli schieramenti al rispetto e al rafforzamento della democrazia liberale. In questa prospettiva, perfino il governo dei populisti non sarebbe passato invano, quasi come una provvidenziale astuzia della ragione (consentite l’esagerazione).

Giancristiano Desiderio, 12 agosto 2019

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