Cultura, tv e spettacoli

Peggio di Scurati c’è solo l’io ipertrofico di San Saviano da Gomorra

© mammuth tramite Canva.com

C’è un enorme equivoco, che un giorno andrà pure chiarito, a proposito di Roberto Saviano. Da quando fu pescato dai bassifondi di Nazione Indiana per farne un’icona letteraria, grazie al talento perverso di Gian Arturo Ferrari, ci ritroviamo questo nulla ambulante dappertutto, in fama di martire, un martire che prospera e per il quale nessuno ha mai saputo riferire una minaccia concreta. Disse, anni fa, l’attuale capo della Polizia, Parisi, che il martirio di Saviano non risultava, e quasi mettevano il mirino addosso a lui, per lesa savianità. Ma Gomorra, unico romanzo, perché di questo si trattava, un’operina di finzione, largamente debitrice alla sceneggiatura di “Piedone lo Sbirro” (1973), sconta i suoi plagi e l’autore sconta la sua inconsistenza pesante, alimentata a boutade, provocazioni e botte d’invidia anche meschina come nel caso Scurati.

Perché la Sinistra è una fabbrica di martiri, tutti con quella faccia insopportabile, che ti sta immediatamente sui coglioni, che è anche un bel risparmio perché uno non perde tempo a stabilirlo, gli basta vederli per catalogarli. Martiri uno al giorno, a un soldo la dozzina. Saviano, giustamente, teme l’eclissi mediatica, come Chiara Ferragni, e reagisce piccato cercando di difendere il proprio status: quello di un grosso scherzo, che purtroppo la macchina propagandistica comunista ha indotto un pubblico di trinariciuti, di suggestionabili, a prendere sul serio. Ma questo signore partito da Napoli e arrivato, sempre chiagnendo e futtendo, all’attico vista Central Park, è solo un Soumahoro riuscito, un Abou che ce l’ha fatta.

Oggi fingendo di difendere Scurati dice le solite banalità di insostenibile leggerezza: si è creato un clima di paura. «E quando è successo a me, in pochi mi hanno difeso». Prima menzogna, perché l’ex ragazzo-vittima, sempre più somigliante a Giobbe Covatta, campa da vent’anni sulle difese d’ufficio di un sistema editoriale, mediatico e in definitiva politico. «Quando è successo a me, in molti hanno taciuto credendo che si trattasse solo della mia persona. Mentre l’antifascismo è un valore condiviso almeno da una parte democratica e importante del Paese, l’antimafia non lo è: continua a essere relegata a tribunali o spazi lontani; quindi, non ci si muove o si reagisce con egual solerzia. Non è considerata fondamentale per la democrazia e la libertà».

Chiacchiere da chiachiello: la libertà ce l’hanno solo loro e ne vogliono di più, vogliono la libertà di dare a chi pare a loro del nazista, se no è nazismo. Così lui, con i suoi Salvini malavitoso, Meloni bastarda, così il filologo da osteria, almeno nell’eloquio, Canfora, “Meloni neonazista nell’animo”, così la professoressa filo Hamas de Cesare, la suffragiona rossa della Balzerani, che al cognato Lollo di Meloni ha rivolto le solite accuse hitleriane e ne è stata querelata, e dunque si lamenta – ecco qui un’altra, io sono più martire di voi.
Siccome c’è la censura e Saviano ne è il martire per eccellenza, può fare un’intervista interminabile sul Corriere della Sera dove straparla di censura siccome la Meloni ha messo il monologo ginnasiale di Scurati: “gesto intimidatorio”. Siamo sempre al solito trucco da fiera, se non esce l’invettiva è nazismo, se l’interessata la riproduce è minaccia di stampo nazista. Non se ne esce. Ma di Scurati, al nostro scugnizzone importa poco, l’importante è il lamento dell’asino, io, io, io: «Un anno fa alla chiusura del Festival di Atreju mi attaccò dicendo che guadagnavo parlando di camorra. Oggi, i media di destra scrivono che Antonio Scurati fa soldi con il fascismo. Questo tipo di attacchi sono mirini sui corpi di alcune persone che vengono poi bersagliate dalla comunità dei sostenitori di Meloni. Aver pubblicato il discorso di Scurati sui suoi media è una sorta di toppa da ufficio stampa, messa dopo il clamore suscitato dalla censura. Ma lei non lo fa per difendere quelle parole. Al contrario, lo fa per aizzare la sua comunità contro quelle parole». Perché, possono negare di avere fatto i soldi matti agitando lo straccio del nazi-fascismo, unica cosa in tutta una carriera?

Il resto è in scia, sarebbe vergognoso se non fosse ridicolo, o viceversa, come quando Bob l’americano sostiene che “la Rai l’hanno distrutta loro (sic) in pochi mesi”. Per l’esito palesemente fallimentare di certi programmi, di certi raccomandati? Ma no, perché non c’è più la dittatura strutturale e subculturale di prima, ovvero adesso parlano, poco, anche gli altri, sgomitano anche gli altri, e chi può preferisce raddoppiare l’ingaggio altrove.
Forse anche Bob Saviano cerca nuovi ingaggi, possibilmente in Europa. «In Italia, la televisione continua a orientare il voto, mentre in altri Stati come Usa, Inghilterra e Francia è ormai sostanzialmente irrilevante. Da noi mantiene invece una sua centralità, e anzi non la sta diluendo nel web. La ragione sta nella nostra altissima età media. Siamo uno dei Paesi più anziani del mondo. Dunque, la televisione pubblica ha ancora un ruolo fondamentale, anche perché gli anziani sono la categoria che va di più a votare».

C’è tutto il vuoto pneumatico di questo big joke, questo grosso scherzo che dice cose senza riscontro e pretende siano vere perché le dice lui. Nel modo più scontato, perché l’armamentario intellettuale, culturale, è quello che è: un Paese di vecchi, la televisione che fa votare. Se davvero è così, ne deriva che negli ultimi 20 anni la televisione pur spingendo solo a sinistra non ha combinato granché al punto che ci è voluta una dittatura col pretesto sanitario per paralizzare all’impossibile nuove consultazioni. Ma la Rai, e questo perfino Saviano lo capisce, per censurare censura, non c’è dubbio, però per faccende diverse e assai più coperte: i vaccini, le loro reazioni avverse, i cambiamenti climatici come riferiti da climatologi all’altezza dei virologi (dove starebbe l’aprigiugno?), sulle nefandezze eurounioniste, sul woke maledetto, sulle disinvolture spartire fra clero, ong e lobby dell’accoglienza.

Ma conviene parlare dello Scurati di turno per parlare di sé. «Nel mio caso, si sono mossi in pochissimi. Erano preoccupati di essere visibili, e quindi conteggiati. Molti intellettuali tra quelli che hanno dato giusta solidarietà a Scurati, non hanno alzato un dito per la chiusura della mia trasmissione. Le ragioni sono chiare. La vedevano come una battaglia personale tra me e il governo, quindi era colpa mia, che mi sono esposto, avranno detto “sono c… suoi”. Nessuno ha sentito la propria libertà minacciata. Anzi, me la sono cercata. Un concorrente in meno». Che tristezza, che abisso di pochezza.

Cosa commentare quando la bugia è così grande, così scoperta? Saviano può tranquillamente dire che “questo è un governo che ha creato un clima di paura” perché è come il Processo di Biscardi, che una volta un giudice assolse motivandolo con la matrice essenzialmente comica, comunque implausibile del programma. Insomma spacciavano palle e non si nascondevano. Saviano è come Abou Soumahoro, e, allo stesso modo, ripete sempre lo stesso mantra: “Mi dite che cosa vi ho fatto?”. Ma nessuno se lo fila ed è questo il suo dramma di influencer famelico che vuole sempre più attenzione, cioè soldi. Uno che forse un tempo poteva decidere chi doveva passare in Rai e chi no, dall’altare di Fazio, da mille pulpiti, e adesso dice che la Rai dei meloniani fa paura, quando al massimo fa paura per avventurismo, per la fame di raccomandazioni, per quel disperante talento di cascare puntuale in ogni tranello e di gestirlo peggio che si può.

Max Del Papa, 22 aprile 2024

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