Perché 7 miliardi dalla lotta all’evasione sono inverosimili

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Il Presidente del Consiglio ha annunciato di aver trovato i 23 miliardi per disinnescare l’aumento dell’Iva e l’impegno al totale disinnesco degli aumenti è ribadito in modo chiaro nella Nota di Aggiornamento al Def licenziata ieri e presto al vaglio delle Camere. È un fatto molto positivo, se si considera che, prima del vertice di maggioranza di domenica sera, stava invece prendendo piede nel Governo l’idea di procedere ad un aumento di almeno una delle due aliquote (più probabilmente quella del 10%), procedendo quindi a un disinnesco degli aumenti soltanto parziale e soltanto in parte compensato dalla contestuale introduzione di incentivi fiscali “selettivi” sugli acquisti di taluni beni e servizi effettuati con moneta elettronica.

La positività di questo annuncio si scontra però con il fatto che i 5 miliardi che si volevano far entrare dal parziale aumento Iva sono stati trasformati in ulteriori coperture finanziarie che devono arrivare dal pacchetto di norme che la legge di bilancio introdurrà in materia di contrasto all’evasione e all’elusione fiscale, portando il totale di questa voce a 7 miliardi (0,4 punti di PIL, come si legge a pagina 20 della Nadef). Nonostante quel che può pensare chi parte del classico assunto che l’evasione è stimata in oltre 100 miliardi, cifrare 7 miliardi di coperture finanziarie derivanti da misure antievasione ed antielusione è veramente “tanta roba”. Anche perché la storia insegna che non sempre vanno a braccetto, da un lato, norme che intensificano i controlli e, dall’altro, stime preventivo di gettito utilizzabile in relazione tecnica a titolo di copertura finanziaria. Per rendersene conto, più che mille discorsi più o meno soggettivi, ci aiuta l’oggettività dei numeri rinvenibili nelle precedenti manovre finanziarie.

Lo scorso anno, nella legge di bilancio per il 2019 (Governo Conte I), l’unica norma antievasione è stata quella che ha generalizzato per gli esercenti l’obbligo di trasmissione telematica dei corrispettivi e il suo contributo in termini di coperture finanziarie è stato di 337 milioni il primo anno, 1,4 miliardi il secondo e 1,9 miliardi dal terzo. L’anno prima, nella legge di bilancio per il 2018 (Governo Gentiloni), toccò all’introduzione della fatturazione elettronica obbligatoria contribuire alle coperture finanziarie per 202 milioni il primo anno, 1,7 miliardi il secondo e 2,3 miliardi dal terzo.

Nelle tre leggi di bilancio approvate dal Governo Renzi, le misure antievasione fecero la loro parte in due occasioni: nel decreto fiscale collegato alla legge di bilancio per il 2017, fu l’introduzione dell’obbligo delle comunicazioni telematiche trimestrali delle fatture e delle liquidazioni Iva a consentire di cifrare coperture finanziarie per 2,1 miliardi sin dal primo anno; nella legge di bilancio per il 2015 furono invece lo splyt payment, l’estensione del reverse charge e la messa a sistema dell’invio delle comunicazioni di “invito all’adempimento spontaneo”) ad essere cifrate come coperture finanziarie per complessivi 2,7 miliardi a partire dal primo anno (secondo le stime dell’Agenzia delle Entrate, splyt payment e reverse charge portarono a consuntivo anche più gettito di quanto era stato stimato, caso assai raro a verificarsi).

Basta la lettura di questi numeri per capire che mettere in fila 7 miliardi di coperture finanziarie cifrabili in relazione tecnica, a fronte di norme antievasione e antielusione, sia operazione ambiziosa cui guardare con ammirazione, ma anche legittima trepidazione. Se persino misure come la fatturazione elettronica obbligatoria per tutti non si spingono oltre alla metà, cosa bisogna inventarsi per arrivare a 7 miliardi? La risposta non ce la possono dare né il Governo Letta, né il Governo Monti, perché, nonostante furono tutt’altro che parchi di norme antievasione (soprattutto il secondo), non cifrarono le norme per ottenere coperture finanziarie preventive, facendo per altro proprio un approccio metodologico molte volte caldeggiato dai commercialisti italiani, consapevoli più di altri di come la sacrosanta lotta all’evasione, quando viene cifrata in copertura finanziaria preventiva, rischia sovente di trasformarsi in meno sacrosanta caccia al gettito presso chi è già conosciuto al fisco.

Una idea di risposta possiamo invece trovarla nei decreti fiscali varati dal Governo Berlusconi tra il 2010 e la drammatica estate 2011 (DL 78/2010, 98/2011 e 138/2011), perché in quelle circostanze furono in effetti cifrate poco meno di 7 miliardi di coperture finanziarie derivanti da norme presentate nell’ambito del capitolo “contrasto all’evasione e all’elusione fiscale”. Si trattava dell’inasprimento del redditometro, dell’inasprimento degli studi di settore, dell’introduzione degli accertamenti immediatamente esecutivi, della reintroduzione degli elenchi clienti e fornitori (oggi superati dalla fatturazione elettronica obbligatoria), delle presunzioni di “reddito minimo” per le c.d. “società in perdita sistemica”, dell’introduzione del divieto di usare in compensazione i crediti fiscali per chi ha debiti tributari iscritti a ruolo.

Furono cifrati persino le modifiche alle sanzioni penali (abbassamento delle soglie di punibilità). Un menù del genere versione 2.0 non sarebbe esattamente il massimo, ma vedremo presto.

Enrico Zanetti, 1 ottobre 2019

www.eutekne.info

La manovra non c’è, le tasse sì

 

 

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