Perché i pacifisti sono il male dell’Occidente

Il prodotto della mediazione non può coincidere con la resa di Kiev e il riconoscimento delle velleità espansionistiche di Putin

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Fra i seguaci del pacifismo imbelle ed equidistante, che si pongono nel limbo del non schieramento, è scattato l’irrefrenabile tic del pregiudizio anti-occidentale. Nonostante nello scenario bellico ucraino siano decifrabili le responsabilità, che hanno determinato l’inizio delle ostilità, in alcuni ambienti si alimentano tesi che riconducono le cause del conflitto agli interessi economici degli Stati Uniti. L’overdose di fake news, somministrata nello sterminato circuito del web, ha la forza di orientare una parte dell’opinione pubblica verso conclusioni di negazione dell’evidenza.

Falsificazione informativa

Le dosi eccessive di falsificazione informativa hanno un effetto letale per la verità, tanto che in alcuni settori, seppure minoritari, si sta accreditando l’idea mendace che gli Stati Uniti stiano sobillando l’Ucraina contro la Russia al fine di sostituirsi a Mosca nella fornitura di gas naturale per incrementare i propri profitti. Così come sull’eccidio di Bucha il governo russo ha fabbricato una plateale mistificazione dei fatti, malgrado le tesi negazioniste siano state confutate da immagini satellitari e dalle intercettazioni dei Servizi tedeschi che hanno captato le ammissioni russe sulla carneficina. La disinformazione è un danno collaterale di ogni teatro di guerra, ma almeno sull’origine della dinamica bellica, che tutti hanno potuto osservare, si dovrebbe stabilire un punto di verità, essendosi principiata dall’aggressione russa a cui si è contrapposta la legittima resistenza degli assediati.

Isolare Mosca

Da una parte c’è la volontà di potenza di un regime dispotico, dall’altra la reazione di uno Stato sovrano che vuole resistere all’arbitrio della dominazione. Non riconoscere tale quadro di verità, fabbricando realtà parallele appartenenti alla sfera della manipolazione, genera un cortocircuito cognitivo sui fatti che concede consenso, sebbene limitato e circoscritto, agli autori dell’abuso. È ovvio che va cercato un compromesso per pacificare i rapporti fra l’Ucraina e la Russia, ma il prodotto della mediazione non può coincidere con la resa di Kiev e il riconoscimento delle velleità espansionistiche di Putin.

Tuttavia, affinché il tavolo negoziale produca una soluzione, accettabile da entrambi gli attori, occorre attivare i dispositivi sanzionatori sulla Russia per decretarne l’isolamento. Le sanzioni hanno un riflesso negativo sull’economia europea, perché non ci sono alternative esaustive ed immediate agli idrocarburi russi, ma il sacrificio, a cui si sottopone consapevolmente, gode di una plausibilità morale, essendo subordinato al valore inalienabile della libertà.

L’inutile pacifismo di facciata

L’indirizzo espresso dall’Europarlamento sullo stop a tutte le forniture energetiche, con l’embargo al carbone, al gas e al petrolio russo, è un segnale di compattezza delle democrazie a cui Mosca non può rimanere indifferente. Non basta dichiararsi contrari alla guerra per esorcizzarne gli effetti. I crimini contro i civili, che si stanno consumando sul suolo ucraino, provocano disgusto ma limitarsi ad agitare il sentimento della ripugnanza non ha effetti anestetici sulla guerra, semmai attiva un’inconscia astuzia temporeggiatrice e una ritualistica condanna del male.

Tale atteggiamento lo possiamo inquadrare nel peacewashing, una sorta di pacifismo di facciata che comunica un’immagine ingannevole di sé perché si appropria di una virtù, la pace, praticando l’ambiguità con il suo rivale e differendone il conseguimento. Solo nella consapevolezza che il male va combattuto con il necessario sacrificio, anche se incrementale, possiamo continuare a sperare che la democrazia e la pace prevalgano sui suoi nemici.

Andrea Amata, 9 aprile 2022

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