Perché Orbán non è un modello per la destra italiana

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La destra italiana non compri a scatola chiusa Viktor Orbán. Il premier sovranista ungherese è indubbiamente un grande leader politico: personalità carismatica, ottimo oratore, protagonista della rinascita economica e spirituale di un Paese orgoglioso delle proprie radici cristiane e della propria identità culturale e nazionale. Qualità ammirevoli, finché si tratta di allearsi al leader magiaro per fustigare gli eurocrati e lottare contro l’immigrazione di massa. Pienamente condivisibile la sua difesa dalle accuse degli osservatori con la puzza sotto al naso, che scambiano un primo ministro patriota per un pericoloso neonazista. È dubbio, tuttavia, che il modello di Fidesz possa essere esportato in Europa occidentale.

Orbán ha rilanciato la sua filosofia politica, quella dellla «democrazia illiberale» o «democrazia cristiana», anche martedì scorso, durante la National Conservatism Conference di Roma. E la proposta del premier ungherese ha certo una logica, dinanzi allo spettacolo di una tecnocrazia europea che trasuda disprezzo per le comunità nazionali. E che, per citare Mario Monti, s’è tenuta bene «al riparo dal processo democratico». Però, la mancanza di accountability democratica a Bruxelles non giustifica l’auspicio di una democrazia priva di contrappesi. Se quello degli eurocrati è un sistema in cui comanda un manipolo di sedicenti esperti, nell’interesse di oligarchie economiche, quello di Orbán – dato che, come insegnava Gaetano Mosca, a governare davvero è sempre un’élite – rischia di ridursi a un sistema in cui resta solo l’esercizio discrezionale del potere esecutivo, sanzionato dai plebisciti.

Per quanto sia legittimo che tutto ciò piaccia agli ungheresi, è difficile credere che la crisi della democrazia liberale in Occidente si possa risolvere eliminando tout court quel che c’è di liberale, per lasciare solo la presunta democrazia. Chi cerca sponde con Fidesz all’Europarlamento, su questo deve riflettere. A partire da Giorgia Meloni. La presidente di Fratelli d’Italia, alla conferenza romana, ha parlato di politiche a favore della natalità. Eppure, nella «democrazia cristiana» di Orbán, il governo ha praticamente statalizzato la fecondazione artificiale. Non è proprio la ricetta della destra italiana, tradizionalista e cattolica, per ripensare le politiche demografiche.

Il modello inglese, in fondo, è ancora un esempio di equilibrio istituzionale e maturità democratica. Si vota, si celebrano referendum coraggiosi, c’è un governo forte, che però non può sottomettere il potere giudiziario né ridurre all’irrilevanza il Parlamento. Dopodiché, come sapeva Montesquieu, ogni popolo ha la sua natura e non si può prendere un sistema che funziona in un luogo, catapultandolo in un altro. Tutto sta a decidere in che direzione muoversi. Ma noi italiani l’abbiamo deciso?

Alessandro Rico, 7 febbraio 2020

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