Politica estera, un anno di disastri

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Comunque vadano le elezioni, andrà cambiata la politica estera del nostro governo che ha isolato l’Italia dal resto del mondo. Da sempre strategici nel Mediterraneo, ponte privilegiato con Usa, paesi arabi ed Israele, in un anno di esecutivo giallo-verde tutto è evaporato. Le proposte portate avanti da Matteo Salvini sulla crescita, forse in maniera troppo rude, attraverso la ridefinizione di nuovi parametri europei e il rilancio degli investimenti, assieme ai problemi posti sull’immigrazione, hanno trovato nel Presidente del Consiglio e nel Ministro degli Esteri due interlocutori non all’altezza.

I due avrebbero dovuto coinvolgere i nostri tradizionali partner, come è sempre stato fatto da tutti i loro predecessori. Per Conte invece solo foto opportunity e biglietti da visita, per Moavero neppure quello, asserragliato com’è nel bunker della Farnesina. Si possono giustificare le ingenuità di Conte, ma è incomprensibile l’inconsistenza del ministro Moavero che pure era stato fortemente voluto dal segretario generale Elisabetta Belloni, la quale se ne è pentita quasi subito e ora, pur di liberarsene, lo spinge verso la Commissione Europea, anche se il candidato più accreditato resta il sottosegretario Giancarlo Giorgetti in fuga dal manicomio di Palazzo Chigi.

L’imminenza del viaggio di Matteo Salvini a Washington, a lungo rinviato, rappresenta l’esame di laurea per il Capitano e solleva il tema della collocazione strategica dell’Italia. Salvini è un animale domestico, ma il suo pragmatismo è apprezzato a Washington, dove si diffida degli ideologi e dove si conoscono anche i recenti ondeggiamenti di Roma verso Cina, Venezuela e Iran, visti con irritazione negli ambienti americani. Affidarsi ad Armando Varricchio, nostro ambasciatore a Washington, potrebbe essere un problema di per sé. Varricchio, infatti, punta tutto sui rapporti con il Dipartimento di Stato e con il National Security Council, ma è persona non gradita alla Casa Bianca. Un bel grattacapo per Salvini, che già deve farsi perdonare l’attivismo pro-Cina del ‘leghista palermitano’ Michele Geraci e i lunghi anni da console a Shanghai del proprio consigliere diplomatico Stefano Beltrame, per sorvolare sui suoi collaboratori più stretti – Savoini, D’Amico, Gaiani – che sono tutti antiamericani.

Al nodo dei rapporti con Washington rischia poi di aggiungersi quello delle relazioni con Israele. Netanyahu scruta guardingo i continui viaggi di politici e top manager di partecipate di Stato italiane a Doha, convinto che il Qatar sostenga l’Islam rivoluzionario. Se poi si considera che Qatar e Iran sono in ottimi rapporti con la Cina, ce n’è abbastanza da saldare Trump e Bibi Netanyahu contro Roma. E se un governo italiano non dialoga con gli Stati Uniti e Israele è automaticamente fuori dai giochi internazionali. Come il sottosegretario Giorgetti ha fatto notare, il presidente Conte tende sempre dalla parte dei grillini, così alla Casa Bianca c’è preoccupazione per le prese di posizione italiane sempre a favore dei Paesi “nemici” degli Usa. Anche a costo di rimetterci in termini di sanzioni economiche, Salvini dovrà convincere l’establishment statunitense che lui non è troppo vicino a Putin, così come Di Maio alla Cina. Mission quasi impossible.

A Parigi, Berlino e Londra, capitali importanti d’Europa, l’Italia di Conte pesa poco o nulla, come il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella sa bene, dal momento che è chiamato ogni volta a metterci una pezza. Negli anni passati la nostra politica estera era riconosciuta e apprezzata su due punti fermi: i rapporti privilegiati con la Santa Sede e una forma di autorità sulla Libia. Con il Vaticano di Bergoglio e soprattutto con la Libia, per il balletto tra Haftar e Serraj, adesso siamo praticamente agli stracci. È ora che qualcuno con un po’ di esperienza internazionale se ne occupi davvero.

Luigi Bisignani, Il Tempo 26 maggio 2019

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