Prima l’italiano

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A proposito di bimbocrazia, mi sia concessa un po’ di sana e scherzosa ironia: ci salverà Di Maio. Sì, proprio così: ci salverà Maria Alessia Di Maio, campionessa olimpica di lingua italiana. Maria Alessia Di Maio è di Pomigliano d’Arco proprio come Luigi Di Maio ed è iscritta allo stesso liceo “Vittorio Imbriani” frequentato dal suo noto compaesano e, in aggiunta, la sua insegnante d’italiano è Rosa Manna che è stata anche la professoressa del ministro. I due Di Maio hanno tanto in comune ma non sono parenti. Stesso paese, stessa scuola, stessa insegnate ma risultati culturali differenti: la liceale è la vincitrice “area liceale senior” della IX edizione delle Olimpiadi di Italiano che si sono svolte in settimana a Torino. Vittorio Imbriani, patriota e letterato, sarebbe orgoglioso di Maria Alessia, un po’ meno di Luigino.

Il giovane ministro non ha mai dato prova di cavarsela bene in italiano. Anzi, ha dato prova in abbondanza di avere grandi difficoltà con il congiuntivo. Si ricorderà la storia tragicomica, che sarebbe piaciuta allo stesso Imbriani, del post su Facebook in cui Di Maio riuscì a sbagliare per ben tre volte di fila un congiuntivo nel tentativo maldestro di correggersi. Scrisse: “Se c’è il rischio che soggetti spiano massime istituzioni dello Stato qual è livello di sicurezza che si garantisce alle imprese e cittadini?”. Un post da far tremare a noi e alla brava professoressa Manna le vene ai polsi. Lo riscrisse così: “Se c’è rischio che massime istituzioni dello Stato venissero spiate qual è livello di sicurezza che si garantisce alle imprese e cittadini?”. Quando si dice che la toppa è peggiore del buco. Allora, il giovanotto, che immaginiamo sudato e frastornato come se fosse uscito dalla celebre scena della lettera di Totò, Peppino e la malafemmina o come se colloquiasse con Fantozzi e il ragionier Filini maestri di congiuntivo e poesia, ci riprovò per la terza volta: “Se c’è il rischio che due soggetti spiassero le massime istituzioni dello Stato qual è il livello di sicurezza…”.

Insomma, un’autentica tragedia per il povero Di Maio che non se la sentì di scrivere per la quarta volta il post sbagliando ancora una volta quel maledetto congiuntivo. Oggi potrebbe rivolgersi alla sua compaesana che gli direbbe qual era il congiuntivo giusto: spiino.

Non saper parlare bene in italiano non è, come si potrebbe ritenere, un problema esclusivamente culturale o lessicale. Una buona politica passa anche per la grammatica. Indro Montanelli amava dire e ripetere che per scrivere bene è necessario parlare meglio in italiano e parlare, pensare e scrivere bene in italiano è la necessaria premessa per agire bene. È vero che l’Italia è ferma e addirittura in recessione ed è verissimo che il governo non sa che pesci prendere e non ci salveranno di certo dei “fini dicitori. Non possiamo pretendere di avere Gadda al governo.  E, tuttavia, esprimersi bene in italiano – soprattutto nell’epoca del sovranismo, neologismo che è già un brutto italiano – vuol dire lavorare meglio su di sé, sapersi orientare, capire e, come diceva quel tale, indicare alla mosca la via d’uscita dalla bottiglia. Forse, prendendo spunto da Di Maio, nel senso di Maria Alessia, si potrebbe e si dovrebbe cambiare l’ormai famoso e famigerato slogan di Matteo Salvini: “Prima l’italiano”.

Giancristiano Desiderio, 7 aprile 2019

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