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Pro gay o no vax, le battaglie si pagano: Kane impari da Djokovic

Fossimo Damilano, avremmo subito l’illuminazione. Una bella copertina, “uomini e no”, senz’ombra d’imbarazzo su chi mettere a sinistra, che ovviamente è il posto dell’uomo umano. Non siamo Damilano, non prendiamo topiche colossali sia come direttore di giornali, sia come demiurgo di masanielli in stivali, non prendiamo neanche 200 mila euro per non farci guardare da nessuno, quindi siamo tranquilli.

Ma restiamo alla dicotomia: da una parte l’insopportabile, viziato, lekkatissimo Kane, col suo orologio-cassaforte, il Rolex “arcobaleno” da 600 mila euro, che sui diritti s’inginocchia in Europa, ci sqatarra in Medio Oriente e considera più importante non prendere un’ammonizione che una posizione, sulle torture ai “malati sessuali”, peraltro. Dall’altra Djokovic, il tennista che quando a guadagni potrebbe infilarsene dieci di Rolex ma per un principio, la libertà di vaccinarsi ha rinunciato non alle ramanzine degli arbitri ma a fior di tornei con probabili vittorie, sponsor e tutto. Perché, come si sa, alla fine è sempre di quelli che si parla.

Uomini e no, anche no, lasciamo il nazismo progressista ai Damilano; omini, ominicchi e quaquaraqua si può osare, però. E qui non c’è dubbio su chi sia uomo e chi ominicchio: il conformismo paga, e paga bene. La coerenza paga meno, e, spesso, a babbo morto. I Kane sono nel gregge di pecore dorate, tutti a girare in cerchio per un mese di Mondiali, nella loro indifferenza platinata, nel cinismo dei vigliacchi; i Djoko camminano soli, reflussi dal loro stesso circolo, gli altri tennisti che li scaricano, li maledicono, dicono “quello qui non ci deve giocare, io con lui non scendo in campo”. E non ci credono alla puttanata del virus che ti ammorba da una parte all’altra della rete, leggende metropolitane da Cartabellotta, da Burioni o da Pregliasco, virologhi sciantose chi li piglia per piddini, chi li piglia per renziani, ma sempre a fare la mossa a Montecitorio puntano. Non ci credono, applicano solo la mafia dei sepolcri imbiancati.

Un altro vantaggio offre il conformismo dei pupazzi: non ti mette mai in crisi, vile sei e vile resti, invece sottrarsi ti manda puntualmente a sfasciarti contro il muro delle prese d’atto. “La libertà di parola per me oggi è un’illusione” ha detto il campione balcanico a la Stampa, che, stranamente, glie l’ha fatto dire. “Io mi sono espresso per la libertà di poter disporre del proprio corpo, e subito sono stato tacciato di essere un no vax, cosa che non sono. Se non fai parte di un certo modo di pensare, diventi subito il cattivo. Non va bene. Non è possibile piacere a tutti ma ormai il politicamente corretto ci costringe a rinunciare a esprimere con rispetto, senza odio, ma con libertà, le proprie idee. Lo so che la gente a volte pensa che io sia finto, che faccio certe cose perché voglio essere amato. Non è così, io cerco solo di essere genuino. È una cosa che stiamo perdendo”.

Su quanto possa restare genuino un nababbo dello sport si può discutere: non sul senso delle sue scelte. Djoko aveva solo da aumputarsi, in quel suo impuntarsi, e regolarmente ci ha perso: lo hanno perfino cacciato dall’Austrialia, lo scorso gennaio, come un ladro; una volta succedeva alle rockstar drogatissime. A Doha e dintorni, nessuno espelle nessuno: sono inclusivi, loro. Al massimo, taglieranno, con calma, un po’ di teste a chi torna, come i calciatori iraniani che, sempre per princìpio, non hanno cantato l’inno della loro democrazia teocratica. Nell’indifferenza globale dell’inginocchiatoio occidentale. Pure, la questione dei superatleti non è secondaria, non la puoi affogare nel folklore, perché dalle loro opzioni dipende un eventuale cambio di paradigma sul valore indisponibile della libertà, talmente indisponibile che ormai l’Occidente sembra averlo cassato, liquidato a favore dei ladri di parole, di ideali e di miraggi.

Libertà non è più potere esibire un simbolo in sostegno, ma doverne fare a meno. Libertà non è più poter disporre del proprio corpo, ma doverlo consegnare “alla scienza”, che poi si identifica nello Stato, come nelle peggiori dittature di Caracas ma anche di Pechino, di Mosca, di Pyongyang, di Roma. Libertà non è poter dire, grazie signori, alla terza fermata vaccinale io scendo, ma doversi fare tutta la tratta e poi ricominciare dal capolinea (se no ti deformano automaticamente come novax complottista stragista, ciò che amaramente nota Djokovic). Libertà non è poter decidere se quel figlio lo tengo oppure no, ma doverlo raschiar via, risucchiarlo con una pompa da bicicletta, rimuoverlo in qualsiasi modo, sennò sei fascista meloniano.

Libertà non è rispettare chi ha vinto le elezioni anche se a te non piace, ma doverlo uccidere, se non altro a parole, “Meloni P38, Meloni ti mangio il cuore”, istigati come è emerso da Cgil e Pd che giocano all’incendio della prateria, secondo decrepite fosche visioni toninegriste. Libertà non è far funzionare cuore e cervello, ma fotterseli con la dissonanza cognitiva, la falsa coscienza del marxismo psichiatrico: tutti quegli imbecilli, o complici che predicano, Aboubakar santo, lo perseguitano perché nero. E stanno uscendo i travasi e siamo, vedrete, ancora all’antipasto. Libertà non è più la fandonia femminista, “io sono mia”, ma la faccetta da schiaffi di George Clooney che, col sorriso da miliardario Nespresso, dice: “Io sono per i vaccini obbligatori, punto”. Lui è scienziato? No, è un divo che fa la pubblicità del caffè, punto. Ma forse Greta era scienziata? No, era una disagiata, vera o finta non conta, che ha determinato dibattito, scelte e dissipazione billionaria in tema di ambiente. E questa gente stila l’agenda, decide, a quale cazzo di titolo non è chiaro, come debba io curarmi, disporre, pagare, nutrirmi, scopare. Loro, capite? Loro, che di pulito non hanno neanche le mutande.

Continuando così ad ingannarsi volontariamente, l’Occidente che si divora da sé può anche far scrivere i suoi saggi, belli e pulitini, alle sue Chantal Delsol, si suoi Ruzyard Legutko, i suoi romanzi malfamati agli Houllebecq, può consolarsi coi beau jeste dei Djoko, le sue battaglie di retroguardia, ma a prevalere sono i farisei alla Kane con l’orologio da un milione. Sono i pagliacci che pesano un’anima con un cartellino giallo e scelgono quello. Sono le mogliere dei compagni stivale, la Liliane TikTok che di sé dice: io sono irreprensibile, io non ho macchie. Io sono perfetta come una martire.

E il marito ne difende “il diritto al lusso” e c’è pure chi lo piglia sul serio, perché libertà non è più dubitare, non bersela, ascoltare quella vocina che ti dice questo è un paraculo ma ciecamente credere con gli stereotipi degli Zoro e i Damilano e i Saviano, questi noioisi ideologi del conformismo che per riscrivere la stupidità pigliano i soldi che pigliano. Djoko batte Kane sei zero, sei zero, sei zero, ma alla fine chi vince è Kane. Proprio perché è uno zero.

Max Del Papa, 27 novembre 2022

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