Programmiamo un giorno della Liberazione dal Covid

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Il grande Allister Heath, direttore del Sunday Telegraph e editorialista del Daily Telegraph, non delude mai. Chiunque cerchi, anche nelle situazioni più confuse, un punto di vista thatcheriano, conservatore di un conservatorismo animato dalla libertà, pro mercato, ottimista, può sempre trovare in lui spunti di assoluto interesse.

Heath è un sostenitore di Boris Johnson, eppure non ha esitato a criticarlo duramente per le scelte dell’ultimo semestre in cui il primo ministro britannico è sembrato ingabbiato dai suoi consulenti sanitari, e ha finito per adottare una politica non troppo dissimile da quella dell’Europa continentale, fatta di chiusure e restrizioni, di compressione della libertà economica e della libertà senza aggettivi.

Eppure, adesso, c’è un fatto nuovo. Anche grazie a Brexit, il Regno Unito ha accelerato le procedure per l’approvazione dei vaccini, e già in queste ore inizia la somministrazione delle prime dosi.

Qui – si badi bene – non si vuol entrare nel merito delle questioni sanitarie, ma solo valutare l’effetto che questa nuova fase (la sua velocità o la sua lentezza) può avere nella ripartenza dell’economia. Ecco, Heath fa notare che se, com’è stato annunciato, la Gran Bretagna vaccinerà già 2,5 milioni di cittadini entro dicembre, e un numero assai maggiore via via entro gennaio, febbraio e poi marzo, allora si può già immaginare e fissare sul calendario un Covid Liberation Day. È così che Heath ha incoraggiato e spronato Boris Johnson.

Avete capito bene. Heath non è un negazionista, per usare l’orrido lessico che si è affermato in questi mesi: suggerisce di rispettare le precauzioni, le mascherine, le distanze. Ma vuole – e ha ragione – la più ampia riapertura economica e commerciale possibile.

E suggerisce di fissare una data sul calendario per creare un effetto di “volta pagina”. Consiglia di chiedere alla Regina di pronunciare un discorso in quel giorno. Aggiunge che, a suo avviso, quella data andrebbe solennizzata con un forte taglio di tasse. Proprio per marcare l’idea di una ripartenza. Per fissare l’obiettivo – contro tutte le previsioni – di una vera ripresa a V, in cui alla rapidità della discesa faccia seguito una altrettanto rapida risalita.

Ahinoi, qui siamo in una condizione totalmente diversa. Siamo nelle mani di un governo illiberale, incapace, paternalista, pericoloso. Che ora ammette, pure rispetto ai vaccini, che per vaccinare mezza Italia (diciamo 30 milioni di italiani) occorrerà arrivare fino a dopo l’estate, a settembre. Capite bene che, se questa previsione fosse vera (ed è purtroppo realistica), e se contemporaneamente il governo tenesse in piedi per altri 9-10 mesi una sorta di lockdown strisciante, la nostra economia, già a pezzi, risulterebbe definitivamente morta.

Ecco perché – mutatis mutandis – occorre anche qui una proposta alla Heath. Accelerando il più possibile il percorso verso la possibilità di vaccinazione. E intanto – so bene che non è la stessa cosa, ma occorre fare di necessità virtù – puntando sui test rapidi come fattore per una possibile svolta.

Non sono affatto un sostenitore degli eccessi sanitari, dell’enfasi su questo terreno. Ma se l’adozione di test rapidi e di massa è il prezzo da pagare per avviare in Italia un dibattito sulla riapertura, si passi anche per quella via. Si conduca, in termini di moral suasion, di incoraggiamento, di persuasione, di convincimento, una campagna politica e mediatica per incoraggiare l’esecuzione a tappeto di test rapidi come base e premessa di un calendario di riapertura di un ventaglio sempre maggiore di settori e attività economiche. Altrimenti, arriveremo a fine 2021 forse negativi al Covid, ma morti, economicamente e civilmente.

Daniele Capezzone, 7 dicembre 2020

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