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Pure Littizzetto s’accorge delle follie del super green pass

La letterina al governo durante Che Tempo Che Fa sul super green pass al ristorante

Luciana Littizzetto green pass

Nessuno pensa che Luciana Littizzetto sia passata da questa parte della barricata, cioè dalla parte di chi crede che il super green pass, così come il suo fratello minore “semplice”, sia da eliminare del tutto. Non è questo ciò che è emerso nell’ultima puntata di Che Tempo Che Fa. Però il solito show della “letterina settimanale” della comica merita di essere citato per affrontare una riflessione più ampia sul lasciapassare. Legittimo o meno che sia, utile o meno nel frenare l’epidemia, una cosa è evidente a tutti, anche ai sacerdoti delle chiusure: che la bestia burocratica che lo Stato ha creato con e attorno al green pass è una pura follia. Un insieme di regole, regoline, deroghe e applicazioni dissimili che costringe ristoratori, baristi e commercianti a districarsi in un ginepraio regolatorio dall’applicazione pressoché impossibile.

Il destinatario della letterina di “Lucianina” è il governo. “Sono cominciati i controlli per il super green pass – ha detto la Littizzetto – però rispetto a questo vorrei chiedere una cosa allo Stato”, in particolare riguardo al fatto che il super green pass devono averlo i clienti che vanno a mangiare seduti al bar (non al bancone, ndr), ma non i cuochi, i camerieri e tutti quelli che lavorano nel locale. “Come mai? Perché? – si è chiesta Littizzetto -. Se in stazione è vietato fumare, io non fumo ma non è che il controllore si fa un calumet della pace mentre va su e giù per i vagoni. Sarebbe come se io per prendere un taxi dovessi esibire la patente e all’autista basta il foglio rosa. Mi spiego caro Stato?”.

È chiaro: Lucianina vorrebbe imporre il super lasciapassare anche ai lavoratori, condannando di fatto i camerieri no vax alla disoccupazione o al reddito di cittadinanza, perché “al ristorante il contatto tra me e te è diretto, il cuoco fa da mangiare, tu tossisci in mano poi affetti il polpo e impani la milanese con il naso che cola, e io cosa ne so?”. Non condividiamo. Soprattutto se le alternative che arriva a proporre è addirittura da brividi: 1) che i datori di lavoro accettino il test negativo dei lavoratori (cioè il green pass base), ma poi “insieme al menu del giorno mi porti anche il risultato dei tamponi di quelli che lavorano, così mangio tranquilla”; 2) che i ristoratori scrivano alla cassa “qui abbiamo tutti il green pass”; 3) che i clienti smettano di andare in quei locali in cui non sono tutti vaccinati. Un orrore.

O meglio, un ragionamento che non tiene conto di quei lavoratori che, legittimamente, visto che lo Stato non obbliga al vaccino, si sono rifiutati di aderire alla campagna vaccinale. Ma almeno Lucianina stavolta ha avuto il pregio, probabilmente senza accorgrsene, di mostrare ciò che noi denunciamo da tempo: ovvero che le regole del green pass sono un’ignobile babele regolatoria senza alcuna logica. Ricordate? Quando entrò per la prima volta in atto il green pass per mangiare al ristorante, il cameriere di un locale poteva entrare per lavorare, ma non per sedersi al tavolo e farsi un piatto di pasta. Come se il virus sapesse distinguere chi gira col lasciapassare, senza o con la sua versione da superman. Come dice Littizzetto: “Dove sta la logica?”.

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