Giustizia

Qatargate, e ti pareva: il giudice si candida alle elezioni

Anche il Belgio ha la sua togastar: Michel Calise dall’inchiesta sulle mazzette europee (poi abbandonata) alla politica

Qatargate Michel Claise 02 © Serhii Yevdokymov e ali çoban tramite Canva.com

Gigi Marzullo chiederebbe: ma la giustizia è la colonna sonora della politica, o la politica è l’opera lirica della giustizia? Che sarebbe come domandare: ma Chiara Ferragni serve al pandoro o il pandoro serve a Chiara Ferragni? Che sarebbe come interrogarsi: se il telecomando non funziona perché ha le pile scariche, perché schiacci i tasti più forte? Ma torniamo alla prima questione: anche il Belgio ha le sue togastar, il giudice, ex giudice, Michel Claise aveva in testa, chissà da quanto, un’idea meravigliosa, la solita che fa godere Gino Cecchettin & figlia Elena, Luca Casarin, Chiara Ferragnin (adesso un po’ meno), Roby ‘o Savianone, Chiara Valerio eccetera: un bel posto riscaldato in un qualche parlamento.

Appena finito in pensione, il caro Michel si è messo all’opera per trasformare il sogno in solida realtà. Funziona come al solito, la metodologia è ampiamente sperimentata e garantita: uno fa una inchiesta molto moralizzatrice, nel caso specifico sul Qatargate, sulla (presunta) corruzione della sinistra mediterranea, poi si stoga o per calcolo o per raggiunti limiti di età e si fionda nell’agone nazionale: questo Claise è della sinistra social-liberale, come dire sinistra moralista contro sinistra affarista. Ed è inevitabile dubitare: ma non è che questo aveva tutto organizzato fin dall’inizio e ha preso la palla al balzo, anzi si è messo a farla rimbalzare lui? Perché che ci fossero massicci profili di illegalità in quegli europarlamentari di sinistra pagati per giurare che come negli emirati, i diritti umani, mai al mondo, e poi li hanno beccati coi divani farciti di bigliettoni qataroni, è difficile negare. Però è altrettanto difficile escludere che sulla disinvoltura di certi sia cresciuta la disinvoltura di cert’altri. Ovvero l’inchiesta penale come trampolino per nuove mirabolanti carriere.

Non è tanto diverso da quanto accaduto trent’anni fa con Mani Pulite, che di fatto si risolse in un golpe morbido ma chirurgico, sventato all’ultimo momento, ma non del tutto, dalla variabile in molti sensi impazzita Silvio Berlusconi; da cui una faida tra Cavaliere “nero” e toghe rosse mai risolta, neppure con la morte del nemico numero uno della sinistra e quindi della magistratura. Anche qui abbiamo esportato un brand, Michel Claise come Tonino di Pietro ma anche come altri del pool, solo un po’ più accorti del giudice contadino: gente che politica si era messa a farla e come, però in altri ruoli, di sponda, così da poter alimentare la mitologia del disinteresse, della terzietà, della giubba del re, come amava tromboneggiare uno di loro, recentemente condannato in primo grado per intricate storie di spifferi & segreti.

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Un must, quello del giudice che si consegna a un partito il quale lo lancia, si direbbe per servigi resi: quasi tutti a sinistra, ma non tutti. Un vezzo che col tempo s’è inflazionato tanto da diventare un malvezzo, e che forse sarebbe opportuno sbarrare, o almeno arginare, in qualche modo. Invece non fa che crescere, e le porte sono girevoli: si entra e si esce da un potere all’altro, poi si torna come se niente fosse. E sempre con la solita certezza: per me garantisco io, ma come potete pensare che io, io porto la toga addosso ma soprattutto dentro, sono specchiato di default e, se scendo in campo, è solo per fare quello che facevo prima, cioè far brillare la Giustizia con la fiaccola in mano. Come no.

Poi si scoprono verminai tipo quello raccontato da Palamara, ma nessuno, a cominciare dal Capo della Magistratura, ha mai fatto un plissè, le riforme sono sempre quella faccenda alla Stanlio e Ollio, “ariveduorci, adìo”, e non partono mai, ci sono giudici che teorizzano apertamente la continuazione del codice con altri mezzi. E il vaevieni non smette mai, roba da sala d’aspetto dell’aeroporto (per Bruxelles). In Italia la democrazia, che era sicuramente corrotta fino a scoprirsi corrosa, ne subì però un colpo definitivo, e da allora la politica non smise mai di degradarsi sia in sé che come subalternità al Terzo Potere. In Belgio non andrà allo stesso modo, e men che meno in Europa, ma il princìpio resta.

Restano anche gli “errori di comunicazione” di chi certe inchieste le intraprende, perché non esiste forse giudice che non si porti appresso qualche potenziale, latente conflitto d’interessi: anche l’integerrimo Claise fu mormorato per aver concesso un trattamento di favore ad uno dei suoi inquisiti, l’eurodeputata Maria Arena: i rispettivi figlioli, vedi un po’, stavano in affari insieme. Ma, si sa, il conflitto d’interessi è come la legge di Orwell: uguale per tutti, ma per qualcuno… (anche se lo scrittore, più precisamente, diceva che tutti gli uomini sono uguali davanti alla legge ma qualcuno lo è di più).

E bravo l’eurogiudice, avviato a diventare deputato. Tanto, per lui garantisce lui medesimo, as usual. Parafrasando l’ex giudice moralizzatore Piercamillo Davigo, quello che si duole (da Fedez) se muore un imputato perché ci si gioca una fonte, “non esistono giudici innocenti, ma solo giudici che non si sono ancora candidati”.

Max Del Papa, 9 gennaio 2023

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