Quando Ricossa scese in campo per la tv commerciale

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Nel nuovo numero di Nuova Storia Contemporanea, il bimestrale di studi storici e politici diretto da Francesco Perfetti, c’è un approfondimento su uno dei nostri beniamini: Sergio Ricossa.

Introdotta da Alberto Mingardi c’è una bella antologia «ricossiana», fatta di articoli più o meno editi e introduzioni di libri che si sono persi nel tempo. Ne saccheggeremo a piene mani, questa estate, per la nostra rubrichetta. Mingardi scrive del percorso intellettuale di Ricossa, un talentuoso scrittore oltre che economista.

La sua biografia fornisce sempre spunti interessanti. Mingardi ci ricorda come il suo rapporto con Keynes non sia così scontato: «Keynes appartiene a un gruppo che Ricossa ammira e che ambisce a frequentare: gli economisti che scrivono bene. Ma lo considera pure uno dei campioni della libertà in questo povero secolo XX, accettando che la Teoria generale abbia salvato il capitalismo industriale dalle sue contraddizioni. Non è proprio quel che ci aspetteremmo dall’indiscusso campione dei liberisti italiani scrive Mingardi – nel secondo Novecento.

Il liberismo di Ricossa cambia di tono, si fa più sicuro, all’inizio degli anni Settanta. Ciò avviene quando egli sviluppa un crescente interesse per la storia economica. Più comprende le proporzioni del grande fatto della crescita economica moderna, ovvero l’incredibile miglioramento degli standard di vita seguito alla Rivoluzione industriale, e più Ricossa smette di correggere con qualche se e qualche ma il suo liberalismo».

Ricossa stupisce sempre. Chi scrive si era dimenticato ad esempio del suo ruolo politico nel referendum sulla Legge Mammì: in buona sostanza la cancellazione dell’impero Tv di Berlusconi. Ebbene Ricossa guidò il comitato del No.

Mingardi scrive: «Se Ricossa fu affascinato da Berlusconi, fu per il fatto che Berlusconi, più di chiunque altro, è l’uomo simbolo del consumismo. La fugace apparizione di Ricossa sul proscenio politico non aveva a che fare col sostegno a un leader: ma era la difesa del telecomando, della televisione a colori, di quel poco o quel tanto di pluralismo nell’offerta televisiva che l’Italia dei primi anni Novanta offriva. La televisione commerciale, come spiegò nella prefazione alla apologia che ne fece Paolo Del Debbio, era per lui un aspetto cruciale del mercato moderno.

La televisione commerciale era volgare? Non sarebbe certo stato un azzimato professore di economia, cultore del bello scrivere e appassionato di disegni antichi, a negarlo. Solo che quella volgarità incontrava il favore di qualche milione di persone. Improbabile che Ricossa abbia visto una sola puntata di Beautiful in tutta la vita: ma per lui l’economia di mercato era lasciare che il pubblico guardasse Beautiful, se era ciò che voleva e se trovava qualcuno disposto a offrirglielo».

Nicola Porro, Il Giornale 10 giugno 2018

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