Chiesa

Quello che nessuno dice sulla Cina e l’affronto al Vaticano

Il regime cinese fa e disfa vescovi anche durante la sede vacante in palese violazione dell’Accordo del 2018. Una grana, per il futuro Papa

Immagine generata da AI tramite DALL·E di OpenAI

Nonostante gli sforzi pluriennali profusi dalla Santa Sede, la Chiesa cattolica in Cina rimane, a tutt’oggi, un’organizzazione essenzialmente sotterranea, vincolata alla semi-clandestinità. Gli ultimi tre pontificati hanno variamente approcciato il problema, da Giovanni Paolo II (Messaggio ai cattolici in Cina, 1995) a Benedetto XVI (Lettera ai cattolici cinesi, 2007), fino alla stesura del primo Accordo sino-vaticano del 2018 che, di durata biennale e più volte rinnovato, è stato prorogato nel 2024 con durata quadriennale. Fortemente voluto da Francesco, prevede che le nomine episcopali siano frutto di un percorso e di scelte condivise tra Santa Sede e potere politico cinese.

Del resto, Pechino riconosce solo gli aderenti all’Associazione Patriottica Cattolica Cinese (APCC), istituita nel 1957 dal Partito Comunista Cinese dopo l’interruzione dei rapporti diplomatici con la Santa Sede nel 1951. Data la primazia dello Stato nella dottrina comunista, il Vaticano è considerato alla stregua di un agente esterno da controllare. Francesco Cui Qingqi a Hankou-Wuhan, Tommaso Chen Tianhao a Qingdao e Giuseppe Shen Bin a Shanghai: dal 2021 in poi, sono state numerose le nomine e i trasferimenti stabiliti unilateralmente dal PCC e solo in un secondo momento, in ottica riparatoria, riconosciuti dal Vaticano.

Morto Papa Francesco il 21 aprile 2025 e in attesa dell’inizio del Conclave, fissato al 7 maggio, si registra, da parte cinese, un’ennesima violazione dell’Accordo. Il 28 e 29 aprile, le autorità cinesi hanno annunciato la nomina di due vescovi ausiliari, senza previa consultazione con la Santa Sede e ignorando il vuoto giuridico e spirituale della sede vacante.

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Secondo AsiaNews, è stata ratificata la promozione del sacerdote Wu Jianlin da vicario generale a vescovo ausiliare di Shanghai il 28 aprile. Intanto, mons. Thaddeus Ma Daqin, vescovo legittimo di Shanghai, diocesi assegnata unilateralmente dal governo cinese a Giuseppe Shen Bin, come sopra ricordato, dal 2012 è agli arresti domiciliari nel seminario di Sheshan per la sua decisione di abbandonare l’APCC e, quindi, la Chiesa di Stato. A poco gli giovarono alcune ritrattazioni pubbliche nel 2016.

Il giorno seguente, Li Janlin è stato nominato ausiliario per la diocesi di Xinxiang, anch’essa già dotata di un vescovo riconosciuto da Roma ma non dal governo cinese, mons. Joseph Zhang Weizhu. Entrambi i vescovi di recente nomina governativa, come prevedibile, sono afferenti all’APCC. Ad oggi, il Vaticano non ha rilasciato dichiarazioni ufficiali in merito. Tuttavia, la nomina di Wu e di Li proprio durante il periodo di sede vacante, autentico interregno in cui nessuna nuova nomina può essere convalidata canonicamente, è una dimostrazione lampante dell’esistenza di uno squilibrio diplomatico e operativo tra le due parti.

Ben oltre la ragionevole difesa d’ufficio dell’Accordo nell’ottica della strategia di lungo termine, la provocazione cinese sarà una grana ulteriore per il prossimo pontefice, già chiamato a farsi carico di un’eredità complessa in uno scenario globale sempre più critico.

Michele Ferretti, 5 maggio 2025

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