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Raisi, chi è il vincitore delle elezioni farsa in Iran

In certi luoghi dove le dittature sono granitiche, indelebili e indistruttibili, le elezioni, politiche o presidenziali, più che specchietti per le allodole sono delle vere e proprie prese in giro che servono da maschera per permettere ai dittatori di potersi presentare all’estero vantando una legittimità che in realtà non hanno e che agli occhi dei veri democratici non avranno mai. Anche se per certe democrazie occidentali e per coloro che seguono i giochi della politica internazionale va tutto bene: basta turarsi il naso. Questo in nome del business o dei giochi di potere, senza pensare ad altro, senza pensare a chi soffre e non ha prospettive per il futuro, senza che qualcuno si faccia venire dei dubbi o qualche scrupolo di coscienza. Giochi di potere dove si divertono in pochi a spesse di tanti.

Le elezioni farsa in Iran

Poi, come nel caso dell’Iran dove la dittatura è addirittura di tipo teocratico, cioè una dittatura che si veste di un velo si santità, tutto diventa ancora più lugubre e profondo, una profondità da record che si è toccata oggi con l’elezione, o meglio la scelta, di Ebrahim Raisi come successore di Hassan Rouhani alla presidenza del tallone d’acciaio che da troppi anni opprime la popolazione iraniana e destabilizza tutto il Medioriente.

La vittoria di Ebrahim Raisi era scontata perché facilitata dal regime in tutti i modi possibili, a cominciare con l’esclusione dalla gara elettorale di coloro che avrebbero potuto creare qualche difficoltà, come ad esempio l’ex presidente ultraconservatore Mahmoud Ahmadinejad, l’ex presidente del parlamento Ali Larijani, escluso per la residenza negli Usa della figlia, e il vicepresidente Es’haq Jahangiri che in qualche modo rappresentava centristi e i riformisti.

Chi è il “boia” Raisi

Ma chi è esattamente Ebrahim Raisi? In effetti il nuovo presidente iraniano ha, se guardato con certi occhi, un curriculum di tutto rispetto. Insieme a Morteza Eshraghi, Hossein-Ali Nayeri e Mostafa Pourmohammadi era uno dei quattro membri di spicco della “Commissione della morte”, il tribunale che nel 1988 era incaricato alla supervisione delle esecuzioni di migliaia di oppositori del regime.

Secondo il Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana tra luglio e settembre del 1988, circa trentamila persone sarebbero state uccise proprio con il benestare di questa “Commissione”. A causa del gran numero di esecuzioni portate a termine, diverse testimonianze hanno raccontato ai media che i prigionieri venivano caricati su carrelli elevatori in gruppi di sei e impiccati alle gru a intervalli di mezz’ora da un’esecuzione all’altra, con la maggioranza dei cadaveri che venivano poi sepolti in fosse comuni.

Che in Iran le gru siano state usate per impiccagioni pubbliche è certificato da centinaia di fotografie pubblicate dai media di tutto il mondo, particolare questo che rende molto credibili le testimonianze. Su questa vicenda e sul numero reale delle esecuzioni Teheran, ancora oggi, mantiene il riserbo assoluto. Il principale obiettivo della Commissione erano i Mujaheddin del popolo iraniano, noto come Esercito di Liberazione Nazionale dell’Iran, ma anche altri prigionieri politici, in particolare di organizzazioni di sinistra come il Tudeh o il Partito Comunista Iraniano. Uccisioni poi definite dalla stampa internazionale dell’epoca ‘Atto di violenza senza precedenti nella storia iraniana’.

Ma non è tutto, secondo Amnesty International migliaia di dissidenti politici sono stati sistematicamente sottoposti a sparizione forzata nelle strutture di detenzione iraniane in tutto il paese e giustiziati in via extragiudiziale in base a ordini emessi dalla Guida suprema dell’Iran e attuati in tutte le carceri del paese insieme alla tortura e ad altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani e degradanti durante i processi. E la famosa commissione di cui il nuovo Presidente faceva parte autorizzava tutto ciò in maniera formale o informale.

Cosa farà Joe Biden?

Questa elezione presidenziale in Iran è diventata un bel mal di pancia per la Casa Bianca. Il Presidente Biden, infatti, ha ai primi posti della sua agenda politica la riesumazione dell’accordo sul nucleare iraniano, ma ora i suoi uomini si trovano a dover trattare con un paese al cui vertice c’è un personaggio che nel 2019 è stato sanzionato proprio dagli Stati Uniti per violazione dei diritti umani, esecuzione di minori e torture di prigionieri. Come capo della magistratura Raisi, sostenuto dall’ayatollah Khamenei, è stato coinvolto anche nella repressione del Movimento Verde, i cui membri, ragazzi e ragazze molti dei quali minorenni, sono scomparsi nel nulla.

Anche se Washington non avrebbe negoziati diretti con il presidente Ebrahim Raisi, la sua elezione rafforzerà inevitabilmente le critiche Biden che viene considerato troppo morbido con Teheran. Ali Vaez, il direttore del Progetto Iran del Gruppo internazionale di crisi, ha ammesso che l’abolizione delle sanzioni a Raisi è sul tavolo dei negoziati di Vienna, ma anche che è molto difficile per il Presidente Biden approvarla. Gli ha però fatto eco Khamenei che ha insistito portando la questione in una sorta di conditio sine qua non sul fatto che gli Stati Uniti tolgano tutte le sanzioni prima che l’Iran possa tornare a rispettare i termini del Jcpoa.

Biden ha ricevuto in dote dall’amministrazione Trump circa 1.500 sanzioni contro l’Iran, ma anche se la Casa Bianca ha fatto sapere di essere disposta ad annullare tutte le contromisure “non coerenti” con i termini dell’intesa nucleare, graziare uno sterminatore è forse al di là dei sui poteri anche se si tratta dell’uomo più potente del mondo. I suoi avversari politici non aspettano altro per travolgerlo con un mare di critiche che potrebbe pagare a caro prezzo nelle elezioni di medio termine.

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