La norma contro i party illegali

Rave, gli sfacciati dello “Stato di polizia”

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Uno a zero, palla al centro. Se mai lo scopo del primo Consiglio dei Ministri fosse stato quello di fare andare in tilt la sinistra, di assestarle un colpo e farla reagire nel più scontato e prevedibile dei modi, l’obiettivo potrebbe dirsi raggiunto in pieno. Che lo Stato abbia deciso di evitare che i rave party siano organizzati clandestinamente, senza preavviso, sul nostro territorio, che delle proprietà private siano prese d’assalto e che i terreni e i posti occupati abusivamente siano alla fine lasciati in uno stato non troppo dissimile da quello in cui la leggenda vuole che Attila lasciasse i posti in cui passava, è una decisione tanto semplice e banale che in uno Stato normale non ci sarebbe nemmeno bisogno di motivarla.

Noi stessi avevamo protestato e molti cittadini si erano indignati in passato in occasioni simili, ad esempio quando un raduno simile l’anno scorso nei pressi di Viterbo era stato gestito dall’allora ministro Lamorgese in modo a dir poco lassivo. Sembrava quasi che ci fosse una legge non scritta che imponesse allo Stato di tollerare un particolare tipo di illegalità che pure formalmente era perseguibile per gli evidenti danni che portava agli altri e alla comunità (che poi uno in privato volesse sballarsi con le droghe e rimbambirsi con la musica a tutto volume, che lo facesse pure: lo Stato non è un educatore, né tanto meno un confessore dei peccati dei singoli).

Che questa “illegalità legale”, per dirla con un ossimoro, per cui non tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge ma qualcuno come i maiali di Orwell lo è più degli altri, nascesse dalla pressioni che esercitano, anche solo moralmente, le potenti lobby di una sinistra un tempo ribellistica in senso palese, lo hanno dimostrato appunto le reazioni che Enrico Letta e compagni hanno avuto definendo il decreto che ristabilisce la normale legge di ogni Stato, come “liberticida”, proprio di uno “Stato di polizia”, “anticostituzionali”, fino a fare il processo alle intenzioni inventandosi di sana pianta che esso includeva anche le riunioni studentesche.

Ma il paradosso dei paradossi, il tilt di cui si diceva, è che a definire “liberticide” semplici leggi di buon senso sono coloro che hanno abolito per contrastare il Covid le più fondamentali libertà individuali, solennemente sancite fra l’altro dalla nostra Costituzione (di circolazione, associazione, in qualche modo anche di parola). E lo hanno fatto con una nonchalance impressionante, non mostrando alcun travaglio interiore, anzi quasi godendone e cercando contro ogni evidenza scientifica di prolungarle oltre il dovuto. Da che pulpito! E che faccia! I vecchi comunisti erano forse più faziosi e manichei di questi esponenti ella sinistra attuale, ma almeno conservavano un po’ di pudore e onestà intellettuale.

Corrado Ocone, 3 novembre 2022

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