Referendum, altro che cannabis: “Volevano legalizzare le droghe pesanti”

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Celiando, ma non troppo, si potrebbe dire che quelli dell’associazione Luca Coscioni, tanto bravi nel promuovere le loro attività e la loro (discutibile) filosofia di vita (ma ad avviso di chi scrive soprattutto di morte), lo sono molto meno nel trovarsi un bravo legale che formuli i quesiti che sottopongono a referendum in maniera chiara e non incompatibile con i principi della Costituzione e i trattati internazionali. In effetti, a sentire quanto ha spigato in Conferenza stampa il presidente della Consulta, Giuliano Amato, il referendum sull’eutanasia per come era formulato non era sull’eutanasia ma sull’omicidio del consenziente (ma questo in verità lo si era già capito); e quello sulla legalizzazione della coltivazione della cannabis (che fra l’altro per uso personale è già ammessa) non era sulla cannabis ma addirittura sulle droghe pesanti.

Errori di forma che diventano sostanza anche se i giudici della suprema Corte sono tenuti ad occuparsi della prima e non della seconda. Chi più modestamente, come noi, si occupa di politica ed ha le sue idee non può che trarre però un sospiro di sollievo: l’oggetto, vero o presunto, dei due quesiti rimandava infatti a una concezione della vita, e ad una cultura politica, che non è la nostra ed è inaccettabile. Si tratta di quella filosofia dei Diritti e del Progresso che, pur costituendo il sostrato della irriflessa cultura dominante o mainstream, poggia su basi molto fragili ed anche pericolose.

I diritti non sono, ad esempio, che il portato di una cultura individualistica che declina la libertà come autodeterminazione astratta e soprattutto senza limiti. Bisogna invece essere consapevoli che la libertà che non si autolimita, che non ha limiti, è autocontraddittoria. Non solo e non tanto per la ormai banalmente ripetuta osservazione, fatta anche con altra profondità da illustri filosofi del passato (si pensi al Kant che parlava di “coesistenza degli arbitri”), per cui la libertà di ognuno finisce ove inizia quella degli altri. Quanto, più radicalmente, perché la libertà è per sua natura ancipite e può darsi solo in necessaria correlazione dialettica col suo opposto, che la limita e la fa essere. La libertà assoluta non esiste, e se esistesse non sarebbe più tale.

La libertà è, all’un tempo, necessaria e impossibile, almeno presa nel suo aspetto ideale o puro. Ma, d’altronde, nemmeno l’idea (o meglio ideologia) di progresso, quella che porta molti giornali italiani a parlare nei loro titoli di “battuta d’arresto” o “ritorno al passato”, regge a un occhio critico. Non c’è un finalismo nella direzione della storia, la quale non è giù segnata. Non passiamo, ed è giusto che sia così, di claritate in claritatem. Abbiamo piuttosto problemi che si pongono nella storia e che, di volta, proviamo a risolvere: senza automatismi, né passaggi necessitati da un Male verso un Bene predeterminato.

Capiamo che per molti i nostri sono ragionamenti difficili, o che semplicemente sono sistematicamente rimossi per poter corrispondere acriticamente allo “spirito del tempo”. E siamo anche sicuri che la Consulta non li ha fatti perché non era tenuta a farli per esprimere il suo giudizio. Il fatto che però abbia bocciato i due quesiti della oscioni sostanzialmente per come erano scritti, ci dice due cose: 1. che l’ignoranza alberga ormai anche a sinistra; e 2. che il diavolo a volte fa i coperchi ma non la pentola. Per intanto i “dirittisti” tornino a scuola, e poi, solo poi, se del caso, ne riparliamo!

Corrado Ocone, 17 febbraio 2022

 

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