Draghi: “Stop allo stato d’emergenza”. Ma il green pass resta: ecco dove

La verità sul lasciapassare e le riaperture

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Il ritorno alla normalità è autentico o farlocco? Mario Draghi, che ha appena annunciato la fine dello stato d’emergenza il 31 marzo, ha davvero intenzione di liberarci?

Giorni fa, in conferenza stampa, il premier aveva promesso che “a giorni”, ovvero “prima possibile”, sarebbe stata pronta una road map sul superamento delle misure restrittive. In particolare, dopo il tentato blitz di Lega e Fdi nella commissione Affari sociali della Camera, sul banco degli imputati c’è l’odioso green pass. Sul decreto della discordia, alla fine, è stata posta la questione di fiducia, proprio per evitare che in Aula si ripetessero incursioni per imporne la soppressione immediata. Stamattina,  Repubblica, tra le righe, sottolineava che il famoso piano di Draghi non esiste ancora. Il timore è che, nelle intenzioni dell’esecutivo, la linea della “gradualità” si possa trasformare in un approccio di fatto conservativo, ben lungi dall’obiettivo auspicabile di eliminare il certificato Covid.

L’annuncio di Draghi

I primi step delle “riaperture” erano in realtà già tracciati. Non rappresentano una novità. Parliamo di piccoli passi in avanti, spacciati per generose concessioni: lo stop alle quarantene per gli arrivi extra Ue, l’ampliamento della capienza degli stadi al 75%, il permesso di mangiucchiare pop corn al cinema. La vera svolta dovrebbe arrivare il 31 marzo, allorché verrà soppresso lo stato d’emergenza. Forse è questo passaggio che il governo conta di giocarsi, per dare l’impressione di aver veramente allentato la morsa delle restrizioni. E, appunto, non è un caso che oggi lo stesso Draghi abbia annunciato la fine del regime speciale. Ad aprile scatterebbero anche altre importanti novità, anticipate poco fa sempre dal premier: cesserebbero, nelle scuole, le quarantene da contatto e verrebbe soppresso l’obbligo di indossare la mascherina Ffp2 in classe. Ma, soprattutto, “non sarà più in vigore il sistema delle zone colorate”. Dunque, addio aree gialle e arancioni.

Il punto, però, è che lo stato d’emergenza è un ombrello che consente una velocizzazione le procedure per l’approvazione delle norme, ma in effetti, l’impalcatura della legislazione anti Covid può essere tranquillamente tenuta in piedi anche senza di esso. E con questo veniamo al punto dolente: liquidati i cavilli nelle aule scolastiche e il sistema dei colori, che nei fatti è stato già superato da un pezzo, il green pass, invece, non sarà affatto abolito.

Le veline di stampa celebrano la sua scomparsa da dehors e tavolini all’aperto di bar e ristoranti. Capirai: quando fu introdotto, ad agosto 2021, il Qr code era limitato proprio alle sale interne dei locali. E già allora sembrava una follia, oltre che la premessa dell’escalation che in effetti si è verificata. Adesso – miracoli della propaganda – dovrebbe essere diventato motivo di giubilo. Il trucco è chiaro: l’esecutivo vara le regole più folli e stringenti del mondo; poi ne allenta qualcuna; e si vende questa mossa come una conquista di libertà.

Resta l’odioso green pass al lavoro

Ma se anche il green pass venisse progressivamente eliminato da uffici postali, banche e centri sportivi all’aperto (con l’effetto di generare l’illusione di una sua definitiva soppressione, visto che d’estate difficilmente si praticano attività al chiuso o si mangia all’interno dei ristoranti), comunque esso sarebbe mantenuto nella forma più oppressiva di tutte quelle concepite fino ad oggi: nei luoghi di lavoro. Tra l’altro, visto che l’orientamento del governo è di prorogare l’obbligo vaccinale per gli over 50 anche dopo il 15 giugno, è lecito supporre che costoro sarebbero tenuti ancora a esibire il certificato rafforzato, se vorranno guadagnarsi il pane.

A ciò aggiungiamo la pressione di alcuni esperti affinché la carta verde non venga spedita in soffitta. Capofila dei fan del codice a barre è certamente Walter Ricciardi, consulente del ministro Roberto Speranza; ma a fare da controcanto al coro degli scienziati, da Matteo Bassetti a Massimo Clementi a Maria Rita Gismondo, che chiedono di revocarlo, ci si è messa anche Ilaria Capua, secondo la quale la tessera Covid potrebbe “tornare utile in autunno”. Un po’ come il piumino 100 grammi. Draghi promette ricchi premi e cotillon, ma il delirio pandemico non è affatto finito. Dunque, non lasciatevi irretire dalle sirene del giornale unico del virus, passato dalla modalità terroristica al linguaggio della “normalità ritrovata”: la vera liberazione è ancora lontana. A meno che non ci siamo talmente abituati a essere oppressi e controllati, che anche poter sorseggiare un caffè al banco, senza una scansione digitale, ci sembrerà un memorabile trionfo…

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