“Rischio varianti Covid in Cina”: cosa c’è dietro l’allarme degli Usa

Il segnale del Dipartimento Usa: non ripetere una Wuhan 2.0

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Sul tema infinito – almeno per il nostro irriducibile giornale unico del virus – della pandemia da Covid-19, in Cina sta accadendo qualcosa di stupefacente. Dopo aver spaventato mezzo mondo, causando indirettamente in Occidente una destabilizzazione sociale ed economica senza precedenti a partire dal dopoguerra, il grande Paese asiatico è stato letteralmente folgorato sulla via di Damasco, come si suol dire: i suoi dirigenti hanno improvvisamente scoperto che il coronavirus non è poi così problematico come lo hanno descritto fino all’altro ieri, quando per quasi tre anni hanno imposto impressionanti misure draconiane per raggiungere l’utopistico traguardo del Covid zero. 

Tant’è che nel dare la notizia circa la precipitosa ritirata delle autorità cinesi, il Corriere della Sera non ci pensa proprio a trarne le dovute conseguenze. E’ sufficiente leggere il titolo del pezzo per rendersene conto: “Cina, sale l’onda del Covid: <<File di bare nei crematori>>. E gli Usa: <<Così il virus può mutare ancora>>. Ora, noi non sappiamo con certezza cosa abbia indotto i cinesi a voltare completamente pagina rispetto a quanto fatto finora, adottando in sostanza un approccio sanitario di stampo svedese. 

Tuttavia, dopo aver probabilmente compreso con imperdonabile ritardo che in un mondo globalizzato, economicamente interconnesso, nessuno è esente dai danni colossali causati dalle insensate misure anti-Covid, vi è il sospetto che i suoi dirigenti abbiano messo al primissimo posto le ragioni dell’economia e della stabilità sociale, scontentando ovviamente i talebani sanitari che imperversano nelle nostre redazioni. 

Per approfondire:

Infatti, l’articolo in oggetto, firmato dall’inviato Guido Santovecchi, trasuda di nostalgia chiusurista, tracciando un quadro a dir poco devastante della situazione cinese. A leggere il testo si ha l’impressione di un virus divenuto ancor più aggressivo della prima ora: “Il sistema sanitario ha bisogno di aiuto: lo provano gli annunci delle amministrazioni di varie città sulla corsa a rafforzare con nuovi letti le terapie intensive e l’apertura di nuove «cliniche della febbre», che sono centri per la cura dei primi sintomi e servono a diminuire la pressione sugli ospedali. Un altro indicatore di crisi è quello sulla diminuzione delle scorte nelle banche del sangue di almeno sette province: il livello è sceso al 16% rispetto all’anno scorso. I donatori potenziali o sono positivi al Covid-19 o temono di uscire”. 

Ma non pago di un così surreale resoconto, che non trova alcun riscontro nel resto del mondo, il cronista conclude con una profezia da far accapponare la pelle agli ipocondriaci del nostro disgraziatissimo Paese: “Proiezioni con modelli matematici elaborate da istituti internazionali sostengono che nei prossimi mesi il 60% dei cinesi potrebbe essere contagiato

Il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Ned Price, dice che «considerate le dimensioni del Pil della Cina e quelle della sua economia», c’è da attendersi un impatto sul mondo globalizzato. E aggiunge che bisogna vigilare perché in questa situazione c’è la possibilità che il coronavirus muti ancora, mentre si diffonde in Cina, e rappresenti una nuova «minaccia per la popolazione mondiale».

Price ha invitato la Cina ad accrescere il proprio ritmo vaccinale, col fine di evitare la diffusione di nuove varianti che possano essere più letali rispetto a quelle più contagiose di oggi. Dichiarazioni che suonano non solo come semplice monito sanitario, ma anche come messaggio geopolitico rivolto direttamente alla superpotenza rossa. L’abbandono delle restrizioni più gravose, dopo le proteste popolari, e la modifica dei parametri di conteggio dei contagi rischierebbero di sottovalutare il problema, che in un’economia mondiale interconnessa andrebbe a riguardare anche i diretti concorrenti.

Insomma, il segnale del Dipartimento Usa è quello di non ripetere una Wuhan 2.0, dove l’Occidente debba rincorrere la Cina per le sue omissioni e sottovalutazioni sul Covid, con conseguente danno anche all’economia ed alla produttività americana. Una risposta alle recenti dichiarazioni del ministro degli Esteri cinese, che ha voluto ribadire il vantaggio istituzionale di Pechino nel mondo, nonostante le difficoltà riscontrate col virus. Vantaggio, ovviamente, rigettato da Washington, che non vuole trovare ostacoli nella sua ripresa, soprattutto a causa dell’ondata di Covid che ora sta investendo il Dragone.

Tornando al Corsera, però, al nostro eroe dell’informazione sembra solo interessare la reiterata e molto presunta minaccia che la diffusione di un virus di infima letalità – stimata dall’illustre virologo Palù in uno striminzito 0,045% – porterebbe nel pianeta Terra.

Non ciò che, come è purtroppo già pesantemente accaduto, le dissennate misure per contenerne la diffusione causerebbero allo sviluppo economico globale. Sotto quest’ultimo aspetto, i cinesi sembrano averlo pienamente compreso; i nostri soci vitalizi del giornale unico del virus assolutamente no. Essi, evidentemente, pensano ancora di rimpinguare il loro Pil editoriale proseguendo ad oltranza sulla linea del terrore virale. Contenti loro.

Claudio Romiti, 20 dicembre 2022

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