Ritardare la Brexit potrebbe avere effetti collaterali

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Continuiamo con la speciale zuppa di Porro straniera. Grazie ad un nostro amico analista che vuole mantenere l’anonimato, il commento degli articoli tratti dai giornali stranieri.

Quali sono i motivi per cui è adorabile un commentatore come Wolfgang Münchau del Financial Times? Li si possono comprendere anche solo leggendo il suo ultimo articolo sul quotidiano londinese del 18 marzo sugli effetti di un ritardo prolungato della Brexit.

L’opinionista in questione è un fermo sostenitore (pur molto amareggiato innanzi tutto a causa dei tanti errori-prepotenze di Berlino) dell’Unione europea, era contrario all’uscita della Gran Bretagna dalla Ue, però la sua dote fondamentale (e formidabile) è che le sue preferenze non incidono sulle sue analisi: per Münchau la realtà è sempre complicata e il lettore ha il diritto di conoscerne tutte le tortuosità.

Il nucleo fondamentale dei tifosi del prolungamento dei tempi della Brexit – così il nostro ci spiega il 18 marzo – è costituito da coloro che vorrebbero preparare il terreno per un secondo referendum che rovesciasse gli esiti del primo e facesse tornare tutto ai bei tempi andati.

Ma ritardare la Brexit, avverte l’editorialista, quasi certamente imporrebbe una partecipazione della Gran Bretagna alle elezioni del Parlamento europeo, e probabilmente poi il “ritardo” verrebbe collegato alla richiesta da parte di Bruxelles di un secondo referendum.

L’Unione europea sarebbe così da una parte sentita da una larga maggioranza di britannici come un ente ricattatore e il loro eurovoto sarebbe così particolarmente influenzato da questa sentimento regalando ai vari movimenti euroscettici non solo una piattaforma per incrementarne il peso ma anche una consistente pattuglia di europarlamentari inglesi tipo Ukip pronta a mobilitarsi nel nuovo parlamento destabilizzandolo. Infine anche se l’euroricatto per un secondo referendum funzionasse le possibilità di una vittoria del “Remain” sarebbero assai condizionata dalla reazione (probabilmente poco benevola) popolare britannica alle manovre descritte.

Infine Münchau fa notare come l’Unione europea per le sue caratteristiche iperburocratizzate non è in grado di affrontare se non una crisi per volta, e ora ha già da fare i conti con i rapporti tra Nato, Stati Uniti e stati dell’Unione a partire dalla Germania, ha da registrare una qualche linea sull’accelerarsi della penetrazione cinese nel Mediterraneo, deve definire un atteggiamento rispetto alle manovre di Donald Trump su dazi e tariffe. Insomma non ha spazio per gestire decentemente un “ritardo” della Brexit.

Ecco, conclude il nostro, come certa retorica “unionista” che spera di condizionare Londra potrebbe finire per aumentare il caos che ormai segna largamente l’operare di Bruxelles (e della sua ispiratrice fondamentale, Berlino) da diversi anni.

Al di là delle preferenze astratte, le uniche scelte serie sono quelle che partono da una realtà che il lettore ha il diritto di conoscere in tutta la sua complessità. Per il prezzo non proprio bassissimo di acquisto di una copia del giornale della City, si deve pretendere questo tipo di prodotto che viene appunto garantito da un Münchau. Mentre in tanti (troppi) altri casi vengono riversate da tanti (troppi) opinionisti Ft massicce dosi di “pensiero unico politicamente corretto” che magari confortano il bisogno di rassicurazioni, ma non spiegano quel che può concretamente accadere

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