Politica

Roma Pride, prima la revoca poi il dietrofront: che autogol del centrodestra

Dopo la revoca, il presidente Francesco Rocca cambia linea e sarà pronto a ridare il patrocinio al Roma Pride 2023

rocca gay pride

Prima la revoca, poi il dietrofront. Ha destato un vero e proprio polverone la decisione del presidente della regione Lazio, Francesco Rocca, di revocare il patrocinio al Roma Pride 2023, in programma tra le vie della capitale per il prossimo 10 giugno. La decisione della giunta di centrodestra si è fondata sulla volontà di smarcarsi dalla “promozione di comportamenti illegali” delle associazioni Lgbtq, in particolare quella relativa al sostegno alla pratica dell’utero in affitto.

Scontro giunta – Roma Pride

Una scelta che ha portato in trincea l’intera opposizione, dalle associazione pride ai partiti politici, con il rinnovato sostegno anche del sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, il quale ha commentato la revoca della regione con un secco: “Noi ci saremo”. Tensioni si sono manifestate anche tra i partiti della maggioranza, dove la stessa associazione giovanile di Forza Italia ha critica la decisione di Rocca, liquidandola come “errata”. Ed ecco che, a pochi giorni, arriva il passo indietro della giunta.

Questa mattina, il presidente del Lazio ha rinnovato la volontà di ridare il patrocinio al Roma Pride 2023, ma solo “se chiedono scusa”. “Colamarino – presidente del Circolo Mario Mieli e portavoce del Roma Pride – chieda scusa per la strumentalizzazione e la manipolazione, e immediatamente ridaremo il patrocinio”, ha affermato Rocca. La posizione sull’utero in affitto, però, non potrà mai trovare “spazio di mediazione”.

Per approfondire:

L’autogol di Rocca

Le parole di Rocca sono giunte a margine della conferenza internazionale The forest factor, organizzata dall’Arma dei carabinieri presso la facoltà di Architettura all’università Roma Tre, concludendo il dietrofront con un occhiolino alle associazioni Lgbtq: “Il gay pride dovrebbe essere la festa di tutti, io mi ero raccomandato di non rivendicare posizioni che potessero essere lesive della morale comune”. E ancora: “Quello che è in gioco quando si parla del Pride è la dignità di ogni essere umano e i diritti di ogni essere umano. Questo pensavo fosse l’aspetto al centro del gay pride, non una pratica che la corte di Cassazione ha definito degradante e lesiva dei diritti delle donne”.

Insomma, l’ombra che traspare dalle parole del presidente è quella di un timido dietrofront per calmare le acque sollevatesi in queste ultime ore. Un vero e proprio autogol per la giunta di centrodestra, che rischia di creare l’effetto opposto rispetto a quello creato: un crescente sostegno verso gli ambienti pride, con il pericolo di alimentare uno dei cavalli di battaglia del progressismo. Ovviamente quello di una destra fascista, omofoba, irrispettosa dei diritti civili.

Una pratica che l’Italia ha già conosciuto agli albori della nascita del governo Meloni, quando le associazioni Lgbt più volte presentarono il rischio “concreto” che il nuovo esecutivo di centrodestra potesse bandire il diritto all’aborto, sulla falsa riga di quanto avvenuto pochi mesi prima negli Stati Uniti con una sentenza della Corte Suprema. Una posizione che ha fatto dell’ideologia il proprio cavallo di battaglia, ma che – con la complicità della destra – rischia di diventare una bomba ad orologeria.

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